Risorgimento
Risorgimento: un carcere per patrioti
Jacopo Ruffini
Jacopo Ruffini nacque a Genova il 22 giugno 1805 da Bernardo ed Eleonora Curlo nella casa di proprietà Brignole situata nell’antica Strada Dritta al Molo (oggi Via delle Grazie, 13).
Per una curiosa coincidenza Jacopo nacque nello stesso giorno in cui a Genova in via Lomellini vedeva la luce il suo grande amico Giuseppe Mazzini.
Jacopo era il quartogenito dei fratelli Ruffini poichè l’avevano preceduto Ottavio, Vincenzo e Carlo.
Il padre di Jacopo, Bernardo, incrollabile monarchico e conservatore, era originario di Finalmarina.
Si laureò in legge, appena ventenne, nell’ateneo genovese per poi stabilirsi col padre ed i fratelli nel capoluogo ligure dove arrivò a coprire la carica di vice presidente del Tribunale di Prefettura.
Eleonora Curlo apparteneva invece alla famiglia dei nobili signori Curlo, originari di Taggia, ed era l’unica figlia ed erede del patrizio genovese Ottavio Curlo.
Jacopo, dopo aver trascorso i primi anni della sua vita a Taggia ospite dello zio canonico, frequentò a Genova il Collegio Reale “della SS. Annunziata” tenuto dai padri somaschi.
Nel 1819, Jacopo per volere del padre, abbandonò il Collegio Reale e fu dapprima commesso di commercio e poi praticante nello studio di un notaio.
Poco portato a questa attività, il Ruffini si iscrisse in seguito alla facoltà di medicina dove, sotto la guida del professor Giacomo Mazzini (padre di Giuseppe), si laureò a pieni voti nel luglio del 1830.
Nel maggio del 1831 troviamo Jacopo a Taggia, ma non conosciamo i veri motivi di quel viaggio repentino, anche se si può ipotizzare il tentativo di incontrarsi con Mazzini in partenza per la Francia o quello di incontrarsi con alcuni cospiratori dell’estremo ponente ligure.
L’arrivo del giovane a Taggia turbò i sonni del generale conte Bernardo Morra di Laviano, governatore di Nizza, che lo sottopose ad una sorveglianza rigidissima finche non ne poté disporre il rientro obbligato a Genova.
Pochi mesi dopo questa parentesi, nel dicembre 1831, Jacopo vinse un concorso per assistente medico sopranumerario all’ospedale di Pammatone.
Da qui fino alla morte non abbiamo più notizie, ma è facile intuire che il giovane mazziniano gettò ogni energia negli ideali della Giovine Italia.
L’adesione alla “GIOVINE ITALIA”
Nel 1829, auspice Mazzini, il Ruffini si affiliò alla Carboneria.
L’anno seguente scoppiava in Francia la rivoluzione di luglio che portò al trono Luigi Filippo e fece sobbalzare tutta l’Europa di commozione.
In Piemonte cominciarono i primi arresti: la mattina dell’11 novembre Giuseppe Mazzini, che ritornava dalla sua villa di Posalunga a Bavari, veniva arrestato e rinchiuso nella fortezza di Savona, da dove uscì il 2 febbraio 1831.
Intanto le pesanti e puerili persecuzioni poliziesche e l’amara delusione provata dopo l’avvento al trono di Carlo Alberto, salutato dapprima con vivo entusiasmo dai liberali, poi rivelatosi artefice di una politica incerta, spinsero Jacopo sulla via della cospirazione.
Nello stesso tempo in cui Jacopo Ruffini assumeva il suo servizio di assistente all’ospedale di Pammatone, un capitano della marina mercantile recava da Marsiglia a Genova il piano particolareggiato della Giovine Italia, l’associazione nazionale, foggiata sull’Eteria greca, che Mazzini aveva ideato nella fortezza di Savona.
Jacopo radunò nell’appartamento abitato dalla sua famiglia il gruppo dei più fidi amici di Mazzini e cioè il fratello Giovanni, il dottor Napoleone Ferrari di Porto Maurizio, Federico Campanella, compagno di studi di Giovanni ed il marchese G.B. Cambiaso.
Dopo aver esposto il piano di Mazzini, egli dichiarò che bisognava contare sul proprio coraggio, sulla devozione incrollabile alla grande causa dell’indipendenza nazionale.
I compagni ad una voce lo acclamarono loro capo ed Jacopo accettò, ma, come presagendo il prossimo martirio pronunciò queste parole:
“Io ho il presentimento che a pochi di noi
sarà concesso di vivere tanto da vedere il frutto
delle nostre fatiche;
ma il seme sparso germoglierà dopo di noi,
ed il pane che avevamo gettato sopra le acque
sarà trovato”.
L’arresto e la morte
Jacopo Ruffini fu l’anima di quella vasta trama che avrebbe dovuto provocare un moto insurrezionale a Genova ed in Alessandria nel giugno del 1833.
Arrestato nella notte dal 13 al 14 maggio, Jacopo fu rinchiuso nella Torre di Palazzo Ducale che fungeva da prigione di stato e sottoposto a lunghi e tormentosi interrogatori che durarono un mese.
Per lungo tempo si è creduto che il delatore che portò Ruffini in carcere fosse il dottor Giambattista Castagnino, suo amico e collega, ma da studi più approfonditi degli atti processuali si è scoperto che gli accusatori furono due furieri di fanteria: Sebastiano Sacco e Lodovico Turffs.
Nella notte dal 18 al 19 giugno, alle due di notte, i guardiani delle carceri, facendo la consueta visita alla segreta dove il Ruffini era rinchiuso, lo trovarono steso a terra immerso nel proprio sangue.
La tesi del suicidio non ha però mai convinto del tutto.
Jacopo Ruffini era destinato, come capo dei cospiratori, al patibolo, ma questo avrebbe dato ulteriore spinta ai moti insurrezionali.
La soluzione dell’omicidio ben mascherato da suicidio consentiva di liberarsi del capo dei cospiratori offrendo inoltre all’opinione pubblica l’immagine di un vile che si era tolto la vita.