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Detenuti celebri

ruffini

Un carcere per artisti

Da Orlando Grosso ed anche da altre fonti veniamo a sapere che la Torre ha avuto fra i suoi ospiti anche artisti famosi e dilettanti, come provano gli affreschi tuttora conservati nella cella campanaria ed altrove.
“L’esplorazione condotta nella prigione superiore (ove si trova la volta della cella campanaria trecentesca ha permesso di ritrovare il muro medievale, ancora polveroso e sporco, e di costatare che fu coperto da uno strato di intonaco più volte ridipinto.
Su questo intonaco abbiamo scoperto nuove date: 1656, 1718 e 1725 fra vari stemmi, disegni di navi, una veduta di Genova, eseguita dallo stesso prigioniero che dipinse la veduta del porto nella cella inferiore…”.
“i dipinti che abbiamo trovato nelle due celle dimostrano che varie generazioni di carcerati, con attitudini artistiche, vi soggiornarono…
Nel secolo XVII abbiamo pittori di stemmi e di battagle navali (muro divisorio della cella superiore); nel 1718 altri carcerati dipinsero sul muro perimetrale sud, adunate di vascelli e di galee, adornando di uno stemma la composizione, vasta quanto la parete; nello stesso secolo sul muro divisorio della stessa cella un altro carcerato ha dipinto un palazzo con balaustrate: nei primi anni dell’800 un detenuto ha disegnato alcune navi, una gustosa caricatura, un profilo femminile, nello stile caro ai romantici.
Questi ultimi disegni a matita si trovano sulla volta della cella inferiore sopra la porta interna della prigione.
Affiorano, fra i vari dipinti, iscrizioni di pentimento, affermazioni di innocenza, invocazioni supreme alla giustizia di Dio.
I prigionieri erano preoccupati di dire le loro pene, i loro tormenti, rivelare la loro anima o ricordare gli avvenimenti processuali, e dovevano appartenere ad una classe colta, perché non abbiamo mai incontrato scritti o disegni osceni.”
Orlando Grosso (Genova, febbraio 1932)
“Ho pure illustrato i dipinti dei prigionieri, alcuni dei quali furono copiati dal pittore Bifoli, come la curiosa composizione del bacio delle dame ai cavalieri partecipanti al torneo, la figura di una Parca che fanno così degno riscontro alle decorazioni pittoriche del bosco con la scimmia.
Queste pitture, compiute con polveri colorate ed acqua senza alcuna sostanza per fissarle, sono di un valente maestro genovese e si possono datare dal 1618 al 1628.
In quegli anni furono imprigionati Sinibaldo Scorza (1625 per lesa maestà), Domenico Fiasella (1626 per ferimento), Luciano Borzone (1628 per ferimento) e nello stesso tempo e per la stessa ragione A.G. Ansaldo.
Questa decorazione che si estende a tutte le pareti della cella campanaria fu eseguita prima che fosse stata dimezzata dalla sistemazione a prigione con relative scale, copriva anche le bifore cinquecentesche murate.
Passiamo quindi a datare i lavori di sistemazione interna della torre dopo il 1630.

Difficile è l’attribuzione, ma se per il soggetto delle pareti con gli alberi e gli animali può far venir in mente lo Scorza, la composizione del torneo ricorda molto il Borzone e l’Ansaldo.”
Orlando Grosso (Genova, febbraio 1933)

Sinibaldo Scorza, Pittore animalista
Lo studio estetico dell’animale, introdotto a Genova dalla conoscenza di opere di animalisti cinquecenteschi come i Bassano, Vincenzo Campi, i Breughel, poi dall’arrivo in città dei maestri forestieri in gran parte fiamminghi (Agostino Tassi, Francesco Snyders, Giovanni Roos, Pietro Boel) ebbe in Sinibaldo Scorza il suo primo assertore.
Egli fu scolaro nella natia Voltaggio di un oscuro Gio. Battista Carosio e in Genova di Gio. Battista Paggi, da poco ritornato dall’esilio fiorentino.
Il naturalismo impregnava l’atmosfera filosofica, letteraria ed artistica del Seicento.
Alle grandi composizioni religiose la gelida, iconoclasta rivoluzione luterana aveva sostituito in Germania, nei Paesi Bassi e nelle Fiandre la “minor pittura”, il quadretto di genere.
Il gusto dei nuovi tempi era sceso in Italia per le vie commerciali, trovando terreno fertile a Venezia in Jacopo Bassano ed altri.
Sorse così la Scuola Italiana d’animali e di paesaggio che, se fu meno esatta e penetrante delle scuole oltramontane, riuscì però più decorativa e feconda.
Come disegnatore Sinibaldo è nervoso e succinto; come pittore è ulivigno, opaco quasi monocromo con ravvivature d’un rosso breugheliano un po’ smorto: Queste caratteristiche emergono proprio nelle figure che lo Scorza rappresentò nella stanza della Torre di Palazzo Ducale (al di sotto della cella campanaria) dove fu imprigionato nel 1625.
Qui, ormai consunte dal tempo, troviamo dipinte: una scimmia che si guarda allo specchio, un capriolo in corsa ed alcune figure di dame e cavalieri.
Non possiamo escludere che questi dipinti gli fossero stati commissionati in cambio della libertà mediante confino nel territorio di Massa.

Pieter Mulier il giovane detto “Il Tempesta”
Pieter Mulier fu il miglior pittore di paesaggio attivo nell’Italia settentrionale fra il 1670 e il 1700, rappresentando il legame fra la pittura di paesaggio romana del Seicento e quella veneziana del secolo successivo.
Nato ad Haarlem (Olanda) nel 1637, il Tempesta ebbe come primo maestro il padre, ma apprese i primi rudimenti della pittura di paesaggio ad Anversa, dove si era trasferito nel 1655.
L’anno successivo, come avveniva per molti artisti suoi conterranei, decise di recarsi in Italia, a Roma, dove lavorò per i Duchi di Bracciano, il principe Colonna, il cardinale Gilberto Borromeo, Aloisio Omodei e per la famiglia Doria Pamphilj.
Il soprannome “Tempesta” compare per la prima volta su un disegno del 1659 e con esso venne ascritto alla locale Gilda dei pittori olandesi.
In quegli stessi anni l’artista entrò in contatto con un grande maestro che avrebbe avuto un’influenza decisiva sulla sua vita: Corneli De Wael, il grande pittore di marine e battaglie che aveva soggiornato a Genova per quarant’anni per poi trasferirsi a Roma.
Alla base della decisione del Tempesta di compiere, nel 1668, lo stesso percorso, ma a ritroso, ci fu probabilmente la consapevolezza che a Genova, dopo la partenza del De Wael, non era rimasto alcun pittore di marine di talento.
Ma la ragione di fondo era probabilmente più grave: la gelosia nei confronti della moglie, che aveva fama di essere una donna di facili costumi, al limite della prostituzione.
Questo sentimento, covato per anni, aveva finito per causargli seri problemi di salute minando il suo equilibrio nervoso.
Per qualche tempo il Mulier visse nel monastero di San Giacomo a Carignano, poi si trasferì in centro, a più stretto contatto con i suoi datori di lavoro, fra cui i Doria e i Brignole Sale.
Nel frattempo trovò il modo di innamorarsi di Anna Eleonora Beltrami, una gentildonna torinese abbandonata dal marito.
Nello stesso anno però mandò a chiamare la moglie legittima, rimasta a Roma con i figli, la quale nel frattempo, aveva partorito altri tre bambini, evidentemente nati da relazioni extraconiugali.
Durante il viaggio Lucia venne assassinata nei pressi di Sarzana, nel territorio del Ducato di Massa, da due sicari prezzolati: Angelo Luigi di Valle Rustica, un soldato di ventura corso, e Massimiliano Capurro, un adolescente Genovese.
Il Tempesta venne arrestato il 13 gennaio 1676 come mandante dell’omicidio.
Il processo si svolse il nel gennaio del 1679 ed il pittore, riconosciuto colpevole, fu condannato a vent’anni di prigione, nonostante la strenua difesa dell’avvocato milanese Giovanni della Torre, uomo di fiducia del conte Borromeo.
Nello stesso anno, benché recluso, il Tempesta sposò la donna amata.
Durante il periodo di detenzione, continuò a lavorare alacremente, realizzando una grande quantità di opere per il patriziato genovese.
Per consentirgli di lavorare con tranquillità, gli venne assegnato un atelier di eccezione; il vano della campana nella Torre del Popolo di Palazzo Ducale, da cui poteva godere una magnifica vista sulla città e sul porto.
Alcuni dei suoi quadri migliori appartengono proprio a questo periodo, anche se da essi traspare il tormento per la detenzione e per il progressivo calo della vista.
Per sua fortuna gli amici milanesi non lo abbandonarono e dopo anni di trattative ad alto livello, condotte dal conte Borromeo e dal governatore spagnolo di Milano, il Tempesta venne dichiarato innocente e scarcerato il 15 ottobre 1684.
Da Genova si trasferì a Milano, dove, dopo aver lavorato anche in Veneto, morì il 29 giugno 1701.

Fra i detenuti più “celebri” rinchiusi fra le mura della Torre Grimaldina ricordiamo, oltre a Jacopo Ruffini, Domenico Della Chiesa e Giulio Cesare Antonio Vachero. Il nobile Domenico Della Chiesa fu incarcerato nella Torre senza processo per compiacere il fratello senatore.
Nel 1612, come emerge dagli atti dell’inchiesta sulla sua rocambolesca fuga, evase, dopo una serie di ingegnosi stratagemmi, salendo nella cella campanaria, e da qui, servendosi della bandiera della Torre, si calò sul terrazzo del Cortile Maggiore e quindi attraverso l’atrio e la piazza, uscì dal palazzo.
Vachero fu il cospiratore di una delle più gravi congiure, avvenuta nel 1628 e appoggiata da mano straniera. La sommossa fu preparata a Torino da Giovanni Antonio Ansaldi, genovese ma agente di Carlo Emanuele di Savoia, che l’aveva fatto conte, e a Genova da Vachero.
Il progetto era di far leva sul malcontento popolare per scatenare una rivolta all’interno della città, durante la quale la cavalleria sabauda avrebbe mosso da Acqui verso Genova.
Nella congiura organizzata dall’Ansaldo e dal Vachero erano coinvolti mercanti, medici, militari appartenenti a diversi ceti, dal popolo grasso, agli artigiani, ai poveri.
Essa fu certamente il segno più vistoso delle trame sabaude per annettersi Genova, ma fu soprattutto l’espressione di un malcontento popolare che criticava i sistemi scarsamente democratici dei nobili al potere e la loro alleanza con la Spagna.
Questa azione rivelò quello che era in sostanza il doppio gioco che conduceva la Spagna nei confronti di Genova e contribuì non poco ad attivare quei meccanismi di revisione dell’alleanza ormai secolare fra la Repubblica e la Spagna.



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