Kostja. Territorio straniero interno
10, 11, 12 gennaio 2014
Sala Dogana
Performance di Riccardo Raffaele Bozano
Progetto di e con Riccardo Raffaele Bozano
regia Lara Franceschetti
assistente regia Francesca Pedrazzi
scenografie Mimma Conti
violoncello Chiara Alberti
installazioni video Cristina Pierri
installazioni pittoriche Patrizia Pierri
Appuntamenti performance:
venerdì 10 e sabato 11 gennaio, ore 21.00
domenica 12 gennaio, ore 16.00
Si consiglia la prenotazione al numero 0105574806
dal 7 al 9 gennaio – dalle 10 alle 13 / dalle 14 alle 16.30
ingresso libero
venerdì 10 e sabato 11 gennaio, ore 21.00
domenica 12 gennaio, ore 16.00
Si consiglia la prenotazione al numero 0105574806
dal 7 al 9 gennaio – dalle 10 alle 13 / dalle 14 alle 16.30
ingresso libero
Da uno studio che ha come punto di partenza Konstantin Gavrilovic Treplev, protagonista de “Il Gabbiano” di A. Cechov, nasce il monologo di Kostja.
Figlio, uomo, artista incompiuto. Cerca il suo posto nel mondo. “Chi sono io?” Kostja. Solo.
Le sue paure, i suoi sogni, le sue vocazioni, il suo desiderio di libertà.
Progetto di Riccardo Raffaele Bozano e Lara Franceschetti
con Riccardo Raffaele Bozano
regia di Lara Franceschetti
installazioni video di Cristina Pierri
installazioni pittoriche di Patrizia Pierri
Il lavoro che presento nasce da uno studio, che ha come punto di partenza Kostantin Gavrilovic Treplev, protagonista de “Il Gabbiano” di A. Cechov.
Il monologo, ripetutamente irripetibile ed inedito, nel testo e nella messinscena, è l’esperienza di un giovane uomo che ripercorre le medesime tematiche dell’inquieto scrittore di Kiev. Figlio, uomo, artista incompiuto, alla ricerca del suo posto nel mondo. Kostja, solo. Le sue paure, i sogni, le vocazioni, le pulsioni di morte, i desideri di libertà.
La tecnica utilizzata in ricerca, la verticale del ruolo (J. Alschitz), vive di un evento, un’epifania, un incontro tra i temi del mio presente come essere umano e quelli del personaggio Kostantin Gavrilovic Treplev. La solitudine, la precarietà, l’inadeguatezza; il rapporto morboso con la madre e l’evaporazione della figura paterna; l’identità “liquida”; il desiderio di vita e la pulsione di morte. I temi di Kostja sono i temi dell’oggi, della generazione nella quale sono iscritto, del “qui ed ora” dell’essere umani.
Recuperare la tradizione per renderla linguaggio per l’innovazione. Nel lavoro esploro i temi sopra citati utilizzando un linguaggio dove la parola cessa di dominare la scena. La parola ridiventa gesto, movimento ed azione, la parte fisica è preponderante ed è ridotta o subordinata l’intenzione logica e discorsiva. In ogni prova il lavoro tende a distruggere i gesti e le forme trovate nelle prove precedenti al fine di evitare cristallizzazioni e ripetizioni in una circostanza che, per sua natura, deve poter essere ripetibile. Rendere irripetibile per poter ripetere, distruggere per continuare, contenere per liberare. In questo teatro di attraversamento (perezivanie), temporale ed emozionale, di un pezzo di vita, mi occupo delle cause capaci di rendere un sentimento. Sono cosciente di tendere a per – formare con i sentimenti e le sensazioni, non solo con l’intelletto, consapevole che nella creazione artistica le cose più importanti sorgono dai sentimenti.
La messinscena ha a che fare con la vita e riduce al minimo la spettacolarizzazione, sottomettendola all’ aspetto di gravità ed al carattere d’inquietudine proprio dell’azione. Le scene e gli accessori sono reali e concreti. Oggetti ed elementi presi da quanto ci circonda (un tavolo, una papera in legno, secchi,.. ) tenderanno, con la loro sistemazione e relazione con l’azione, a creare nuove figure. La voce, anch’essa in ricerca, varia dal tono naturale all’artificio dei più irritanti, al fine di ricercare i sentimenti supplementari e stranieri.
La visione, oltre il progetto, è di presentare una messinscena capace di restituire la verità corrente della vita, senza creare illusioni. Nella semplice esposizione di oggetti del reale, nella loro combinazione, nel rapporto della voce umana con il gesto, l’azione, con la luce, c’è tutta una realtà che basta a se stessa e che non ha bisogno di altro per vivere. Come dice Antonin Artaud, questa realtà falsa è il teatro, il falso in mezzo al vero. Un’utilizzazione di un ordine spirituale nuovo dato agli oggetti ed alle cose ordinarie della vita, questa la definizione ideale della messinscena.
Quello che guida la proposta è un tentativo rigoroso ed onesto di ricerca di un linguaggio teatrale vero, che ha nell’abnegazione e nella vocazione – intesa come incapacità, impossibilità, assenza di desiderio di fare qualcosa d’altro che non sia questo – una visione ascetica del mio percorso di vita.