Arti & Architettura 1900 – 2000
2 ottobre 2004 – 13 febbraio 2005
Sottoporticato, Piano Nobile
La mostra, organizzata da Palazzo Ducale, raccoglie e documenta gli sconfinamenti operati dagli artisti nell’ambito dell’architettura – artisti che hanno immaginato e spesso realizzato case, grattacieli, complessi urbani ed aeroporti o hanno prodotto dipinti e sculture che richiamano direttamente o indirettamente il soggetto architettonico – e quelli degli architetti che hanno pensato in termini di scultura, vale a dire hanno progettato e creato edifici con un forte valore espressivo e plastico e si sono impegnati a realizzare opere con un’alta componente visuale, sconfinando anche nelle ricerche fotografiche e pittoriche.
Un’avventura utopica, sfociante a volte nell’”archiscultura”, che vede artisti e architetti – da Kasimir Malevich a Alexandr Rodchenko, da Antonio Sant’Elia a Fortunato Depero, da Ludwig Mies van der Rohe a Piet Mondrian, da Le Corbusier a Frederick Kiesler, da Constant a Jean Dubuffet, da Frank Gehry a Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen – impegnati a disegnare spazi, volumi e percorsi ideali, basati su colori e forme che non provengono dalla funzionalità, ma dalla creatività pura, visiva e plastica, tipica della ricerca visuale, in una comune ipotesi d’intervento sulla città e sulla vita.
Per meglio esemplificare l’interazione tra le diverse forme espressive così tipico dell’utopia moderna prima e dei linguaggi contemporanei degli ultimi decenni dopo, le prime due sezioni della mostra hanno al loro interno momenti dedicati ad espressioni artistiche diverse, quali, ad esempio, la fotografia, il cinema, la letteratura, sempre in relazione al soggetto architettonico. Il percorso della mostra, una sorta di jam session delle arti – pittura, scultura, film, fotografia, libri – e dell’architettura, è il frutto della collaborazione tra il curatore e Gae Aulenti, che insieme hanno già dato vita alla mostra dedicata all’arte italiana proposta dal Guggenheim Museum di New York nel 1994 (“The Italian Metamorphosis, 1943-1968″), avvalendosi del contributo di Pierluigi Cerri per il progetto grafico.
La mostra è articolata in tre parti: la prima dedicata agli architetti e agli artisti delle Avanguardie storiche, fino agli anni Sessanta compresi (1900-1970); la seconda, che abbraccia più specificatamente il periodo contemporaneo (1970-2000); la terza, che vede realizzate nelle piazze, nelle strade e nei cortili di alcuni palazzi storici di Genova strutture effimere a firma dei maggiori artisti e architetti del mondo.
L’itinerario delle installazioni contemporanee parte da Piazza Caricamento, dove è collocato il Teatro del Mondo di Aldo Rossi: ricostruito grazie a Coopsette, il Teatro è un omaggio simbolico a tutta l’architettura che ha guardato all’arte e da essa ha tratto suggestioni e strumenti. In Piazza San Lorenzo si può vedere il modello di un edificio di Frank Gehry, mentre da Piazza Matteotti, dove sono collocate le installazioni di Pedro Cabrita-Reis, Alessandro Mendini e Van Lieshout, il percorso attraversa i cortili di Palazzo Ducale, con gli Igloo di Mario Merz, la scultura di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen e l’installazione Wave UFO di Mariko Mori, prosegue in Piazza De Ferrari, con Gaetano Pesce e il suo Chiosco per Genova 2004 e il progetto di Pierluigi Cerri per il cantiere della metropolitana, tocca piazza Corvetto con Renzo Piano, scende verso Piazza Fontane Marose e Piazza San Matteo, con le installazioni, rispettivamente, di Hans Hollein (The Golden Calf, 2004) e Anselm Kiefer (Cornelia, 2003), e percorre Strada Nuova, dove Palazzo Lomellino ospita il modello del progetto Togok Towers di Rem Koolhaas e il cortile di Palazzo Tursi ospita i Giardini di vetro di Andrea Branzi.
Ogni installazione è stata realizzata grazie alla coproduzione di imprese e società che guardano alla contemporaneità come a un valore della propria cultura aziendale, da Permasteelisa alle società francesi Civra e Altran, da Leggeri S.p.A. a Abet Laminati, da Berti Pavimenti a Ceramiche Marazzi, da Metropolitana di Napoli e Ansaldo a Intergroup Italia, e ancora Elsa Peretti Foundation, Bisazza, Flos, GRP, Haas Fertigbau, OTS e la società genovese Aster.
La mostra si propone di coinvolgere la città di Genova nel suo complesso, non solo tramite le installazioni realizzate da artisti e architetti contemporanei, ma anche attraverso l’utilizzo dei cartelloni solitamente impiegati per scopi pubblicitari grandi 6×3 metri, che vengono utilizzati per presentare immagini di fotografi e disegni di artisti e architetti e che sono collocati in cinquanta punti distribuiti in tutta la città, una sorta di espansione visiva della mostra nell’intero tessuto urbano. Questo progetto, interamente prodotto dalla Federico Motta Editore, rappresenta un’inedita ma necessaria trasformazione della città intera, vera destinataria di ogni idea architettonica, in unico, grande luogo espositivo: da levante a ponente, in questo modo, “Arti&Architettura, 1900/2000″ propone una rassegna di disegni e fotografie ideate appositamente da alcuni dei più famosi artisti, architetti e fotografi, tra cui Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Greg Lynn, Jean Nouvel, Franco Purini, Massimo Scolari, Luisa Lambri, Mimmo Jodice, Arduino Cantafora, Gordon Matta-Clark.
Il catalogo in due volumi che accompagna la mostra, edito da Skira, si propone come una pubblicazione esaustiva sull’argomento e si avvale del contributo di studiosi italiani e stranieri – storici dell’arte e dell’architettura, filosofi, storici del cinema e della fotografia – nonché una cronologia degli eventi storico-artistici e una bibliografia generale: più di ottocento pagine, oltre mille immagini a colori e in bianco e nero e il contributo di oltre venti autori restituiscono al lettore la complessità di una mostra che, tra arte architettura, fotografia e cinema, attraversa tutto il Ventesimo secolo e propone uno sguardo sull’oggi.
Piano Sottoporticato
Sala 1
Presupposti teorici di inizio Novecento: la Wiener Werkstätte e la Deutscher Werkbund
Nei primi anni del Novecento, il rapporto tra arti e architettura è incentrato da una parte, sul ruolo della decorazione e dall’altra, sulle possibilità offerte dall’applicazione dell’industria. Josef Hoffmann, fondatore nel 1903 della Wiener Werkstätte, sceglie una progressiva riduzione della decorazione in favore della ricerca di forme pure e funzionali all’architettura e già nel suo progetto per il Sanatorio di Purkesdorf riduce i muri a sottili superfici piane. Nel 1907, Hermann Muthesius fonda la Deutscher Werkbund con l’intento di avvicinare gli artisti all’industria per creare in architettura e nelle arti applicate uno stile unitario per la progettazione sia di un oggetto d’uso, che di un monumento o di una fabbrica. Gli sviluppi teorici e pratici di Muthesius, Otto Wagner, Henry Van de Velde e Adolf Loos sono parte della formazione dei protagonisti del Futurismo Italiano.
Sala 2
Futurismo Italiano 1
Nato ufficialmente a Parigi nel 1909, il Futurismo Italiano annuncia sin dagli esordi la volontà di trasformare il mondo che ci circonda e la piena fiducia nelle tecnologie industriali applicate all’arte e all’architettura. La forza innovatrice della poetica futurista risiede la ricerca di un linguaggio nuovo basato sulla compenetrazione delle arti e sugli stimoli offerti dagli sviluppi tecnologici, dalla luce elettrica, alla velocità delle automobili, alla spettacolarità del volo aereo. In questa logica, i confini tra le arti non hanno più ragione di esistere: Umberto Boccioni, artista, riflette sul ruolo dell’architettura futurista (1914); Fortunato Depero e Giacomo Balla, artisti, stilano il documento programmatico per la Ricostruzione futurista dell’universo (1915); Antonio Sant’Elia, architetto, influenza le generazioni future attraverso i suoi disegni e la forza comunicativa delle sue idee visionarie.
Giacomo Balla (1871-1958) si forma in ambito divisionista, giungendo ad un’analisi oggettiva del dato reale nei primi anni di adesione al Futurismo, 1910, mentre la sua ricerca artistica comprende oltre alla pittura, la scenografia cinematografica e teatrale e la grafica. Nel frattempo l’interesse per la creazione di mobili ed oggetti d’uso, mediato dalla conoscenza dello Jungendstil, è visibile nella sua prima esperienza in questo settore nel 1912 con la progettazione della decorazione e dell’arredamento di casa Löwenstein a Düsseldorf, dove egli impiega per la prima volta il motivo delle compenetrazioni iridescenti, mentre affronta i temi della velocità e dello sviluppo tecnologico della città del futuro nel dipinto Ponte della velocità (1913) dove anticipa l’interesse del Futurismo per l’architettura.
Enrico Prampolini (1894-1956) aderisce al movimento futurista nel 1912 ed il suo contributo risiede nella continua sperimentazione sul linguaggio artistico, che applica indistintamente nei diversi settori in cui si estende la sua attività: dalla pittura, all’architettura, al teatro, al cinema.
Nel 1914 realizza il disegno 3º Scarabocchio embrionale. Materializzazione di spessori atmosferici (Camera-dormitorio: sezione), esempio della sua ricerca progettuale in architettura basata sull’”atmosferostruttura”. Il suo impegno per lo sviluppo di un’architettura futurista prosegue, negli anni Venti e Trenta, con la pubblicazione di riflessioni sull’argomento e con la progettazione di padiglioni per esposizioni universali o per manifestazioni di regime.
Antonio Sant’Elia (1888-1916) dopo la laurea in architettura, aderisce formalmente al movimento futurista con la presentazione per il catalogo della mostra del gruppo Nuove tendenze a Milano. Nel 1914 redige la prima stesura del Manifesto dell’architettura Futurista, rimaneggiato e ampliato da Filippo Tommaso Martinetti. Le sue opere, come i disegni e gli schizzi per la Città nuova, esprimono l’adesione alle ricerche estetiche condotte in quegli anni nell’ambito delle avanguardie europee, in particolare dal Costruttivismo sovietico. Arruolatosi volontario allo scoppio della prima guerra mondiale, Sant’Elia morirà nel 1916, senza avere realizzato alcuna delle architetture ideate, che rimangono tra i più affascinanti contributi teorici della stagione futurista.
Fortunato Depero (1892-1960) frequenta a Roma gli esponenti del Futurismo dal 1913, ma è ufficialmente affiliato a questo movimento nel 1915. Influenzato dal dinamismo plastico di Umberto Boccioni e dalle compenetrazioni iridescenti di Giacomo Balla, crea insieme a quest’ultimo i Complessi plastici, oggetti fatti di poesia + pittura + scultura + musica.
La sua importanza nello sviluppo della poetica futurista sta proprio nella fusione tra discipline artistiche diverse e nello sfruttare il codice visivo da lui ideato sia nella creazione di oggetti d’uso quotidiano, che nel campo teatrale e grafico, mentre si confronta direttamente con l’architettura nella progettazione di padiglioni pubblicitari.
Costruttivismo e Suprematismo 1
La premessa teorica allo sviluppo dell’arte russa nei primi del Novecento si trova nel Raggismo di Mikhail Larionov e di Natalia Goncharova, la cui ricerca sulla luce e sul movimento è molto simile a quella portata avanti dal Futurismo Italiano, e nella poetica cubo-futurista di Kazimir Malevich all’inizio degli anni Dieci. L’avanguardia russa conosce un momento di grande sviluppo ed affermazione con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, quando sembra potersi concretamente realizzare una completa ricostruzione della società. Parte integrante ed attiva di tale rinnovamento sono gli artisti e gli architetti, organizzati nella Sezione per le Arti Figurative del Commissariato del Popolo per l’Istruzione. La ricerca di un nuovo linguaggio espressivo, da poter applicare ad ogni attività artistica, trova ora i suoi presupposti teorici nel Suprematismo di Malevich e nel Costruttivismo dei fratelli Pevsner.
Kazimir Malevich (1878-1935) è una figura fondamentale per l’arte russa, non solo come pittore, ma soprattutto come teorico e maestro. Esponente del cubo-futurismo, Malevich, nel 1915 sviluppa i principi teorici del Suprematismo: se il quadrato è la forma geometrica su cui si basa la sua sperimentazione pittorica, il cubo diventa per lui misura dello spazio. Questo presupposto si applica all’architettura nella serie degli Architekton, esempi di avveniristiche costruzioni concepite come esercizi formali e totalmente non funzionali. I modelli architettonici così realizzati, come Alpha e Gota, vanno intesi come rivelazioni delle leggi formali assolute della costruzione, esempi concreti delle possibilità offerte all’architettura dall’applicazione del Suprematismo.
Ivan Leonidov (1902-1959) si forma presso l’atelier di Alexander Vesnin presso i VChUTEMAS di Mosca, scuola d’arte fondata nel 1920, dove studia anche pittura. La sua tesi di laurea, un progetto per l’Istituto Lenin a Mosca, diviene uno dei più noti esempi di architettura d’avanguardia in Russia. I lavori successivi, espressione formale della fusione tra l’architettura e le altre arti, attingono all’iconografia visionaria di Malevich e costituiscono una sintesi unica tra sintassi architettonica costruttivista e forme fluttuanti proprie del suprematismo. In particolare il progetto di concorso per un Palazzo della Cultura a Mosca (1930), una struttura a traliccio triangolare rivestita in vetro, sembra prefigurare le cupole geodetiche che vent’anni più tardi progetterà Richard Buckminster Fuller.
Costruttivismo e Suprematismo 2
L’attività degli artisti ed architetti russi negli anni Venti e Trenta si propone di rinnovare tutti i settori della vita quotidiana e sconfina dalle arti visive propriamente dette alla grafica pubblicitaria, alla progettazione dell’arredo urbano, al design di oggetti d’uso e tessuti. Artisti come Il’ia Chashnik e Nicolai Suetin applicano alla ceramica e al design di tessuti i principi teorici degli Architekton di Malevich, mentre architetti come Konstantin Mel’nikov e Nicolai Kolli si cimentano nella progettazione di monumenti e apparati effimeri per le celebrazioni degli anniversari della rivoluzione. L’impiego a fini propagandistici dell’arte d’avanguardia trova infine una sua icona emblematica nel Monumento alla Terza internazionale di Vladimir Tatlin. La torre, ad andamento spiraliforme ascendente verso l’alto, incarna perfettamente la fiducia nello sviluppo della società russa grazie al progresso industriale e tecnologico.
Natan Al’tman (1889-1970) si forma in ambito cubista a Parigi, dove era giunto nel 1910 dopo aver visitato Monaco e Vienna. Tornato in Russia dopo la Rivoluzione d’Ottobre, è un protagonista della creazione di apparati effimeri per parate di massa e monumenti. Deve la sua notorietà alla progettazione, nel 1918, della decorazione di Piazza Uritskaya (oggi Dvortsovaya) per le celebrazioni del primo anniversario della rivoluzione. Come risulta dagli schizzi da lui realizzati, impiega in quest’occasione forme geometriche astratte su pannelli giganteschi, riuscendo così, attraverso la forza comunicativa del nuovo linguaggio artistico, a trasformare radicalmente il volto dei palazzi affacciati sulla piazza.
Alexander Vesnin, 1883-1959, è professore alla scuola d’arte VChUTEMAS dal 1921 al 1936 e la sua attività architettonica si sviluppa in collaborazione con i fratelli Viktor e Leonid. I loro progetti per il Palazzo del Lavoro a Mosca, per la sede moscovita della Leningradskaja Pravda, e per la società Arcos a Mosca, caratterizzati da una volumetria ricca di tensioni, che presenta tuttavia una struttura interna orientata alla funzionalità, determinano negli anni Venti la nascita del Costruttivismo in architettura.
Alexander Rodchenko (1891-1956) è uno degli artisti più creativi della compagine costruttivista. I suoi interessi spaziano dall’arte grafica, alla pittura, alla fotografia, ottenendo attraverso la continua sperimentazione, effetti imprevisti nella rappresentazione della realtà. Alla fine degli anni Dieci incomincia a realizzare tre serie di sculture non-oggettuali – con numerazione progressiva – che in seguito sono intitolate Costruzioni spaziali, basate sulla rigorosa ricerca geometrica delle forme eseguita con riga e compasso. Nel 1919 realizza un progetto per Chiosco pubblicitario, struttura effimera dell’arredo urbano, che diventa, in quegli anni, veicolo di diffusione del nuovo linguaggio artistico d’avanguardia.
Vladimir Tatlin (1885-1953) si forma tra i corsi di pittura a Mosca e numerosi viaggi tra la Turchia, la Grecia, l’Italia, l’Asia e l’Africa. Nel clima pre-rivoluzionario della Russia di inizio secolo, stringe rapporti con i fratelli Vesnin, che lo coinvolgono nell’attività dei gruppi di avanguardia come pittore e scenografo. Nel 1919 viene incaricato dal ministero dell’Istruzione sovietico, di dar vita al progetto per il monumento alla Terza Internazionale. Tatlin immagina una colossale struttura in acciaio, la cui forma dinamica è caratterizzata da due spirali che salgono attorno a un traliccio inclinato alto oltre 400 metri.
Konstantin Mel’nikov (1890-1974) è una figura chiave del movimento costruttivista, a cui aderisce dopo la laurea conseguita all’accademia di Mosca nel 1917. Le collaborazioni con Lissitskij e Ladovskij, precisano la sua posizione culturale: una sintesi tra componenti tecniche, economiche, plastiche e ideologiche dell’architettura. Acquisisce celebrità internazionale con il padiglione per la mostra di oggetti costruttivisti, premiato all’esposizione internazionale di Parigi del 1925. I cinque circoli operai realizzati: Rusakov, Gor’kij, Zujev, Frunze e Burevesnik, sono eredi, invece, del formalismo di Ladovskij e dei fratelli Golosov.
Futurismo Italiano 2
In Italia gli anni Venti e Trenta si caratterizzano, come in tutta Europa, per la creatività e varietà della produzione artistica. Fortunato Depero progetta padiglioni pubblicitari e arazzi, mentre l’architetto Virgilio Marchi, molto attivo nella scenografia teatrale e cinematografica, dà vita a sogni utopistici nei suoi dipinti di grandi dimensioni. Le visioni di città proiettate nel futuro con palazzi avveniristici, in cui la fiducia nella tecnologia e nella meccanizzazione si unisce alla bellezza del disegno, sono il tema anche delle opere dell’artista Tullio Crali e dell’architetto Nicolaj Djulgheroff. Negli stessi anni, il pittore Ivo Pannaggi si impegna nell’ “architettura” d’interni realizzando la decorazione e l’arredamento di Casa Zampini, mentre Enrico Prampolini, che progetta nel 1935 una villa, non realizzata, per Filippo Marinetti porta, avanti la sua sperimentazione polimaterica negli studi per quinte teatrali e per scenografie cinematografiche.
Virgilio Marchi (1895-1960) si avvicina al movimento futurista nel 1916 e da questo momento sviluppa le sue teorie architettoniche, seguendo le premesse innovative di Antonio Sant’Elia. Trasferitosi a Roma nel 1920, incomincia a collaborare con Anton Giuglio Bragaglia, progettando e realizzando per lui le prime scenografie teatrali. La sua attività si sviluppa negli anni Venti e Trenta proprio in campo teatrale ed in seguito cinematografico, mentre partecipa negli stessi anni a diverse mostre sull’architettura futurista. Le grandi tele da lui dedicate alla Città futurista rappresentano la vena pittorico espressionista del futurismo architettonico romano, esaltata dalla sua personale capacità lirica e visionaria.
Fotografia americana negli Anni Trenta
Tra la fine degli anni Venti e negli anni Trenta, la rappresentazione dello sviluppo urbano e l’enfatizzazione delle forme geometriche e meccaniche caratterizzano buona parte della produzione fotografica americana, in cui si fondono istanze di pittorialismo e socio-documentarismo. Berenice Abbott, allieva di Eugène Atget, ritrae le strade e i palazzi newyorchesi con lo stesso rigore imparato dal maestro parigino, mentre Edward Weston e Ansel Adams adottano un approccio “pittorico” verso la raffigurazione della città o delle realtà suburbane e rurali, tema affrontato nelle campagne fotografiche promosse dall’amministrazione pubblica americana durante la depressione economica degli anni Trenta.
Sala 3
El Lissitzky (1890-1941) si diploma in architettura alla Technische Hochschule a Darmstadt nel 1914, anno in cui torna in patria. Nel 1919 incontra Malevich e si unisce al gruppo degli UNOVIS. Sviluppa in questo periodo la serie dei Proun, composizioni a metà strada tra architettura e pittura. La sua attività artistica abbraccia nel tempo altri settori tra cui la grafica e la fotografia. Sono del 1928 le immagini della Torre Eiffel: grazie ai tagli delle inquadrature, mette in evidenza l’aspetto costruttivista del monumento ottocentesco. I suoi numerosi viaggi all’estero gli permettono, inoltre, di frequentare e mettere l’avanguardia russa in collegamento le diverse avanguardie europee, da De Stijl, al Dada di Berlino, al Bauhaus.
Vladimir (1899-1982) e Georgij Stenberg (1900-1933) si formano come scenografi teatrali, sfruttando la loro esperienza durante la progettazione di decorazioni per le dimostrazioni popolari durante la rivoluzione, mentre nel 1918 disegnano apparati effimeri per palazzi pubblici per la celebrazione del 1º maggio. Fanno parte del Primo Gruppo dei Costruttivisti dal 1921. Sono di questo periodo le Costruzioni spaziali, sculture di legno, ferro e vetro, il cui titolo è composto di lettere e numeri che ne sottolineano il carattere non oggettuale. Esposte durante la Terza Mostra della Società dei Giovani Artisti insieme alle sculture astratte di Rodchenko, sono oggi opere emblematiche dell’applicazione dei principi del Costruttivismo nelle arti plastiche.
Gustav Klutsis (1895-1938) originario della Lettonia, giunge a Mosca durante la Rivoluzione d’Ottobre e nel 1919 riprende i suoi studi artistici subendo l’influenza di Malevich ed in seguito del Costruttivismo. Si afferma per le sue costruzioni spaziali e in Città dinamica, 1919, applica la tecnica del collage in pittura, unendo la sperimentazione del linguaggio artistico al tema della rappresentazione della città futura. La sua produzione è spesso al servizio della propaganda politica con la realizzazione di chioschi, tribune, stand per padiglioni espositivi e strutture per altoparlanti. Inoltre, il suo contributo è determinante nella tecnica del fotomontaggio, che sfrutta per manifesti pubblicitari, riviste e illustrazioni per libri.
Sala 4
De Stijl 1917-1931
Il gruppo De Stijl, fondato a Leiden nel 1917 e inizialmente composto da Piet Mondrian, Theo Van Doesburg, Victor Huszar, Bart Van der Leck, Robert Van t’Hoff, J. J. P. Oud, George Vantongerloo e Jan Wils, rappresenta un momento importante per il dialogo tra arti e architettura.
Il rigore della ricerca formale neoplastica di Piet Mondrian e di Theo Van Doesburg, ben articolata anche nelle loro pubblicazioni e divulgata nella rivista ufficiale del gruppo, vede l’architettura come disciplina in grado di fondere e racchiudere in sé le altre arti. La definizione di un nuovo linguaggio comprende anche l’aspetto etico: le opere di artisti e architetti devono servire come guida per l’umanità verso l’armonia e l’equilibrio di una “nuova vita”. Frequenti sono le collaborazioni tra artisti e architetti, come nel Cafè Aubette a Strasburgo, mentre fondamentali rimangono le esperienze nel design di Gerrit Rietveld.
Theo van Doesburg (1883-1931) si cimenta sin dai suoi esordi negli anni Dieci in diverse discipline artistiche dalla pittura, alla poesia e alla critica d’arte. Dopo la fondazione nel 1917 di De Stjil, inizia a collaborare attivamente con gli architetti, in particolare con Jacobus Johannes Oud e Cornelis van Eesteren. Il Neoplasticismo, da lui teorizzato, ricerca un nuovo linguaggio artistico attraverso il rifiuto della soggettività in favore dell’universalità degli elementi espressivi usati, mentre l’architettura diventa il luogo dove si può raggiungere l’unità di tutte le arti visive. Negli anni Venti, egli è in contatto con i maestri del Bauhaus, tra cui Ludwig Mies van der Rohe, frequenta Le Corbusier e collabora anche con i dadaisti Tristan Tzara, Hans Arp e Kurt Schwitters.
Bart van der Leck (1876-1958) incontra Piet Mondrian e Theo van Doesburg nel 1916, in un momento in cui la sua pittura aveva già subito una progressiva semplificazione sia nell’uso dei colori primari che nell’astrazione della forma. Inizia a collaborare con loro alla rivista De Stijl, su cui pubblica nel 1918 due articoli sul ruolo della pittura in architettura. Staccatosi in seguito da questo movimento, continua ad occuparsi di architettura progettando negli anni Trenta la decorazione interna di Casa de Leeuw, di Casa Liebert e della sede della Metz & Co. a L’Aia, per la quale realizza disegni per tappeti e ceramiche.
Gerrit Rietveld (1888-1964) arriva all’architettura passando per la progettazione di mobili. Dal 1919 collabora con la rivista De Stjil, contribuendo, con la sua arte combinatoria fatta di superfici orizzontali e verticali, allo sviluppo dell’estetica neoplastica. Una delle sue opere più eleganti rimane senza dubbio la casa Schröder, ideata assieme all’architetto d’interni Truus e che influenzerà in seguito la poetica di Aldo van Eyck. L’architettura di Rietveld muta radicalmente al momento dell’adesione ai Ciam, proiettandosi decisamente verso il razionalismo.
Jacobus Johannes Pieter Oud (1890-1963) dopo aver completato la propria formazione al Politecnico di Delft, dal 1915 collabora con l’architetto Theo van Doesburg, assieme al quale fonda nel 1917 la rivista De Stijl. L’architettura di Oud, molto attenta alle necessità quotidiane e realizzata con materiali “moderni” come il cemento, gli vale la ama di pioniere del funzionalismo. Oud è autore di una delle opere-manifesto dei propositi artistici di De Stijl, il caffè De Unie, esempio compiuto di un edificio dalla composizione formale e cromatica totalmente astratta.
Sala 5
Architettura Espressionista
L’interiorità emozionale scaturita da una riflessione letteraria e artistica in Germania prima della grande guerra da poeti come Paul Scheerbart o disegnatori come Wenzel Hablik, è all’origine dell’architettura espressionista. Il contributo più determinante, per certi aspetti precursore dell’estetica espressionista, va però colto nell’opera di Hans Poelzig, in particolare nella Torre dell’Acqua a Posen, struttura in acciaio con tamponamento in mattoni. Il risultato più significativo dell’espressionismo prebellico è invece la Casa di Vetro di Bruno Taut (1914), ricca di riferimenti simbolici e citazioni tratte dall’opera di Scheerbart. Uno dei più alti interpreti della poetica espressionista è infine Erich Mendelsohn, noto soprattutto per la Einstein Turm, l’osservatorio astronomico di Potsdam. Un volume plastico e scultoreo, il cui vocabolario formale unito al pathos lirico si manifesta soprattutto nei disegni.
Hermann Finsterlin (1887-1973) architetto e artista poliedrico, si dimostra uno dei più eclettici rappresentanti dell’espressionismo. Studia medicina, fisica e chimica, filosofia e pittura. La sua notorietà inizia con Austellung für unbekannte Architekten, una rassegna di architetti sconosciuti organizzata da Walter Gropius nel 1919 a Berlino. Diviene poi membro dell’Arbeistrat für Kunst e rappresenta la mente teorica più fervida nello scambio epistolare utopico della Gläserne Kette guidato da Bruno Taut. Le sue architetture scultoree, lontane dalla realtà, appaiono come fantasie formali biomorfe, raffigurazione di una teoria dell’arte fortemente influenzata dal sistema scientifico darwiniano. Dopo gli anni Venti lavora quasi esclusivamente come pittore e scrittore. Wenzel Hablik (1881-1934) è fortemente influenzato dall’opera di Friedrich Nietzsche e di Paul Scheerbart. Dopo una formazione culturale, che lo vede dapprima studente a Vienna presso la Kunstgewebeschule, poi, presso l’Accademia di Belle Arti di Praga, inizia a disegnare, a partire dal 1903, le note visioni di paesaggi fantastici, densi di architetture cristalline e organismi urbani sospesi nell’aria. I forti legami con la Gläserne Kette, in particolare con Bruno Taut, sono testimonianza evidente di una visione dell’architettura estranea alla componente realistica, ma al contrario legata fortemente all’utopia, sfruttando l’uso del cristallo, del vetro e del colore in un’architettura che ambisce a rinnovare la società.
Sala 6
Robert Delunay (1885-1941) si forma in ambito postimpressionista, subendo l’influenza di Paul Cézanne. Nel 1911 partecipa alla prima mostra del Blaue Reiter, invitato da Vassily Kandinsky, mentre l’incontro con i protagonisti del Cubismo l’anno successivo gli permette di creare un suo stile che Guillame Apollinaire definisce cubismo orfico. Scenografo teatrale dei Ballets Russes, l’occasione di lavorare per l’architettura si presenta, a Parigi, con i padiglioni temporanei per esposizioni internazionali. Nel 1925, esegue gli affreschi del Palazzo dell’Ambasciata di Francia all’Esposizione Internazionale di Arti Decorative e nel 1937 completa le pitture murali per il Palais de Chemins de Fer e per il Palais de l’Air per l’Esposizione Internazionale di Arti.
Giorgio de Chirico (1888-1978) formatosi tra Grecia e Germania all’interno della cultura accademica, sviluppa un suo stile personale a Parigi, dove soggiorna dal 1911 al 1915. È Guillame Apollinaire il primo ad usare l’aggettivo “metafisico” per descrivere i suoi dipinti, dove già si percepisce la “sensazione del presagio”, che per l’artista è segno della prova del non-senso dell’universo. La magica atmosfera che pervade le opere di de Chirico è ottenuta trasformando lo spazio urbano, dove quotidianamente l’uomo abita, in un’esperienza vissuta soggettivamente. Nei suoi quadri l’architettura diventa soggetto principale, e non sfondo, della rappresentazione pittorica, evidenziando la sua capacità di trasformare lo spazio in un luogo di “visioni”.
Sala 7
John Heartfield (1891-1968) è uno dei principali protagonisti del Dada di Berlino e si dedica soprattutto allo sviluppo della tecnica del fotomontaggio. La sperimentazione dei mezzi artistici e lo spirito irriverente della poetica dadaista sono messi al servizio del messaggio, finalità unica del suo fare artistico. Deve, infatti, la sua notorietà all’impegno, durante gli anni Trenta, contro la barbarie del regime nazista portato avanti nelle pagine delle riviste AIZ e VI. Egli utilizza sapientemente il fotomontaggio, mentre semplici giochi di parole evidenziano l’ironia nel messaggio politico e delle dichiarazioni di importanti esponenti del Partito Nazista.
Kurt Schwitters (1887-1948) figura centrale del movimento Dada, entra in contatto negli anni Venti con gli esponenti delle avanguardie europee, soprattutto con i costruttivisti russi, ma anche attraverso collaborazioni come quella per la rivista De Stijl. L’assemblaggio di materiali diversi e trovati casualmente, cui dà il nome di Merz nell’inverno tra il 1918-19, è uttilizzato per ottenere opere a parete e piccole sculture. Nel 1923, tale metodo di composizione dell’opera d’arte inizia ad essere utilizzato anche in senso architettonico: la Merzbau, casa dove lui abita, si trasforma in una sorta di opera totale che attraverso uno sviluppo organico, unisce la vita all’arte. Egli lavora a quest’opera fino al 1943, quando la casa viene distrutta da un bombardamento degli alleati su Hannover. La sua attività si estende alla grafica, alla poesia e al teatro.
Sala 8
Jean Gorin (1899-1981) formatosi in ambito accademico, nel 1926 vede sulle pagine della rivista Vouloir alcune opere neoplastiche di Mondrian, van Doesburg e Huszar. Il successivo incontro con Mondrian nel suo studio lo converte completamente allo stile neoplastico, mentre nel 1929 realizza le prime costruzioni a piani montati nello spazio. Nel 1932 conosce direttamente, grazie ad un viaggio in Russia, le opere di Malevich, di Gabo e degli architetti costruttivisti e, al suo ritorno, entra a far parte del gruppo Abstraction-Création. In seguito, introduce nelle sue opere il rilievo, creando delle vere e proprie sculture murali. Inoltre, pur mantenendo il rigore orizzontale-verticale del Neoplasticismo, usa il cerchio e la linea obliqua, distaccandosi in parte dai principi formali di Mondrian.
Sala 10
Nicolas Schöffer (1912-1992) pittore, scultore, architetto e urbanista, ritiene che la funzione principale dell’arte e il ruolo dell’artista nella società siano di cambiare la vita e di far migliorare gli esseri umani. Nel 1948, sviluppa l’idea dello spaziodinamismo, creando delle sculture che mettono in relazione elementi immateriali come lo spazio, la luce e il tempo. Contemporaneamente, affronta i problemi della società moderna riflettendo sull’architettura e l’urbanistica.
Completa nel 1955 una serie di disegni e modelli dedicati alla Città cibernetica, divisa in tre settori Lavoro-Riposo-Divertimento.
Ogni settore deve corrispondere a precisi criteri di qualità estetica ed efficacia nel rispondere ai bisogni degli abitanti. Tra i vari progetti, spicca quello per il Teatro Spaziodinamico.
Sala 11
Friedrich Kiesler (1890-1965). L’idea di spazio infinito, continuo e fluido, di cui saranno debitrici le avanguardie radicali negli anni Sessanta, costituisce la cifra della poetica di Kiesler, nella sua attività di architetto e in quella di scenografo. Già i primi progetti per installazioni, come il Palcoscenico spaziale del 1924 e la Città Spaziale, di Parigi 1925, realizzati secondo i modelli del costruttivismo sovietico e di De Stjil, lo mettono in contatto con l’avanguardia internazionale. Dal 1930 si trasferisce a New York dove lavora al prototipo di cellula abitativa che definisce Space House. Con la sua opera cerca di trasferire all’architettura le conquiste del surrealismo nelle immagini formali amorfe della Endless House, così come nello Universal Theatre.
Sala 12
Carlo Mollino (1905-1973) nonostante l’intensa attività di architetto, si dedica a partire dagli anni Trenta sia alla fotografia che alla letteratura. La sua opera, influenzata dalla frequentazione di artisti come Mino Maccari, Italo Cremona, Alberto Galvano, è improntata ad una discussione sul moderno, condotta in modo assolutamente personale e autonomo. Ne sono esempi le decorazioni e i colori usati per la Società ippica torinese (1937-1940), certamente la sua opera più nota, letta dalla critica come un’apertura all’organicismo e alla lezione di Frank Lloyd Wright. Anche i numerosi edifici costruiti in montagna, partendo dalla tipologia tradizionale del Rascard valdostano, propongono inedite contaminazioni con forme derivate dal Movimento moderno.
Sala 13/14
Fotografia surrealista
Con l’affermarsi del Surrealismo, la fotografia sembra essere uno dei mezzi artistici più adatti ad esprimere il lato irrazionale della realtà che ci circonda. L’uso di tagli prospettici imprevisti, la sperimentazione di inquadrature nuove, così come l’applicazione della tecnica del fotomontaggio o delle sovraesposizioni, permettono ai fotografi di mettere in evidenza l’aspetto fantastico della realtà, creando effetti di spaesamento nella dimensione quotidiana delle scene ritratte. L’architettura, da quella antica e in rovina di Sudek, a quella delle città, come Parigi e New York, per Kertesz e Cartier-Bresson, fornisce l’elemento scenografico naturale per creare l’effetto onirico voluto. La dimensione surreale ben si adatta, in quegli anni, anche alla ricerca espressiva dei fotografi attivi in Sud America, come Tina Modotti o Manuel Alvarez Bravo.
Sala 15
Wassily Kandinsky (1866-1944) e Paul Klee (1879-1940) maestri riconosciuti dell’astrattismo pittorico, sono due dei più influenti insegnanti del Bauhaus. Entrambi hanno il compito di formare gli allievi tenendo lezioni teoriche sul colore, ma affrontano l’argomento con metodi diversi. Le lezioni sul colore di Kandinsky, al Bauhaus dal 1922 al 1933, sono parte integrante della “teoria della composizione” e il suo insegnamento si fonda sul “disegno analitico” con cui gli allievi imparano a cogliere le tensioni compositive e le linee principali di un oggetto. Il metodo di Klee, che insegna al Bauhaus dal 1921 al 1931, si basa, invece, sul “disegno naturalistico”, una sintesi tra studio della natura e intuizione della pura essenza dell’oggetto, mentre la trasmissione della sua esperienza pittorica passa attraverso la molteplicità per ricondurre ogni cosa all’unità.
Fernand Léger (1881-1955) completa il suo apprendistato presso uno studio di architettura a Caen e, giunto a Parigi nel 1900, si mantiene svolgendo la professione di disegnatore per architetti. A Parigi conosce la pittura di Cézanne e quella dei cubisti e il suo stile negli anni Dieci diventa sempre più astratto, mentre la sua tavolozza è composta dal bianco, dal nero e dai colori primari. Nel 1917 introduce nei suoi quadri le forme a tubo, debitrici della sua attenzione verso l’aspetto meccanico dell’industria con i suoi numerosi ingranaggi e meccanismi. Scenografo per teatro, realizza nel 1924 il film astratto Ballet mécanique, mentre nel 1925 espone i suoi dipinti murali e di natura morta nel Padiglione dell’Esprit Nouveau all’Esposizione Internazionale di arti decorative di Parigi.
Le Corbusier (1887-1965) ha una ricca produzione pittorica, grafica e plastica, in stretto rapporto formale e concettuale con l’architettura. La sua formazione culturale passa attraverso viaggi e frequentazioni con grandi architetti del tempo. Nel 1918, scrive con Ozenfant il manifesto artistico Apres le cubisme, che decreta la nascita del Purismo; l’anno successivo è tra i fondatori della rivista “L’Esprit Nouveau”. Il suo saggio “Cinque punti per una nuova architettura” diventa un manifesto per gli architetti del XX secolo, mentre il Modulor, un complesso sistema di proporzioni basato sulla sezione aurea e la serie di Fibonacci, pone l’uomo al centro del progetto. Il tema del luogo è affrontato nella chiesa di Ronchamp, oggetto architettonico di grande plasticità. Negli ultimi anni si dedica principalmente a pittura e scultura.
Bauhaus
Molto più di una scuola di arte e architettura, il Bauhaus, nei quattordici anni della sua esistenza, si rivela un importantissimo centro per la cultura artistica del XX secolo in Europa. Fondato nel 1919, sotto la direzione di Walter Gropius, il Bauhaus nasce con lo scopo di unificare tutte le discipline artistiche: scultura, pittura, architettura, artigianato, in una nuova arte del costruire. L’intuito di Gropius trasforma sin dall’inizio la scuola in un centro artistico e culturale d’eccellenza. Tra i maestri, si contano Lyonel Feininger, Oskar Schlemmer, Paul Klee, Wassily Kandinsky, Gerhard Marks e Johannes Itten. Più tardi vi insegnano anche Laszlo Moholy-Nagy e Josef Albers. La scuola si trasferisce a Dessau nel 1926, prendendo sede nel celebre edificio progettato da Gropius. Nel 1928, la direzione passa ad Adolf Meyer, mentre dal 1930 fino alla definitiva chiusura della scuola, nel 1933, è direttore Ludwig Mies van der Rohe.
Josef Albers (1888-1976) studente al Bauhaus dal 1920 al 1923, ne diventa in seguito insegnante fino al 1933. I suoi seminari, rivolti allo studio dei materiali, sono parte integrante del corso preliminare, di cui è il responsabile dal 1928. Sono di questo periodo i suoi assemblaggi con il vetro e le pitture eseguiti su questo materiale, mentre si dedica anche alla grafica per la stampa e al design di mobili e utensili in vetro e metallo. Durante i suoi corsi, gli studenti affrontano i problemi connessi al design e all’uso dei materiali. Trasferitosi negli Stati Uniti negli anni Quaranta, si dedica all’insegnamento soprattutto degli effetti ottici del colore, influenzando buona parte dell’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta.
Walter Gropius (1883-1969) dopo una collaborazione presso lo studio di Peter Behrens, da cui assimila l’idea di un’industria come unione tra arte e tecnologia, lavora con Adolf Meyer fino al 1925. Nella fabbrica modello del 1914, impiega il vetro contro le sue caratteristiche, sottolineando la trasparenza di angoli e corpi scala privi di pilastri. Nel 1919, fonda e dirige il Bauhaus, studiando progetti come il Teatro Totale a scena centrale e come la sede della scuola a Dessau, sintesi tra ricerca spaziale cubista e geometria derivata dal Neoplasticismo. Dal 1937 al 1952 insegna presso la Harward University, dove alcuni suoi studenti sono: Philip Johnson, Paul Rudolph e Ieoh Ming Pei.
Pubblicazioni e grafica Bauhaus
Il laboratorio di grafica e tipografia è affidato a Lyonel Feininger, abile xilografo. L’insegnamento prevede anche l’uso dell’incisione su rame e fornisce allo studente una vera e propria formazione professionale. Dal 1922, Gropius decide di usare il laboratorio per ottenere lavori anche all’esterno, anche se i risvolti economici non sono così soddisfacenti. La qualità tecnica raggiunta, però, fa sì che molti artisti si rivolgano alla scuola per la stampa dei loro portfoli, mentre rimane importante la produzione dei maestri quali Feininger, Kandinsky e Schlemmer. Nel 1923, viene fondata la casa editrice Bauhaus-Verlag München-Berlin, il cui logo è disegnato da Moholy-Nagy usando forme geometriche come il cerchio, il quadrato e il triangolo. Tra i libri pubblicati, molti sono dedicati alla diffusione delle teorie sull’architettura, settore in cui i maestri del Bauhaus rappresentano le punte più avanzate.
Fotografia Bauhaus
La tecnica fotografica è materia di studio ufficiale nel Bauhaus solo dal 1929, quando l’insegnamento viene affidato a Walter Peterhans. La fotografia, che unisce in sé tecnologia e arte, ha un ruolo importante nella scuola grazie a Laszlo Moholy-Nagy, la cui continua ricerca sulla luce e sui suoi effetti stimola la sperimentazione fotografica, contagiando maestri ed allievi. Sono da ricordare, tra gli altri, per i risultati ottenuti, oltre alla moglie Lucia Moholy, anche Erich Consemüller, Florence Henri, Gerard Itting, mentre César Domela approfondisce la tecnica del fotomontaggio. Soggetti architettonici privilegiati sono l’edificio sede della scuola e le case dei maestri progettate da Gropius, mentre molte immagini sono dedicate alla documentazione, non solo delle attività didattiche, come il teatro, ma anche dei momenti di relax e di festa.
Oskar Schlemmer (1888-1943) è insegnante al Bauhaus dal 1921 al 1929. I suoi corsi affrontano temi diversi dalla pittura murale, alla scultura su pietra e all’intaglio del legno. È il responsabile dal 1923 del laboratorio teatrale, con il cui gruppo è in tournée in Germania e in Svizzera negli anni 1928-29. Realizza in questo periodo le Bauhaus Dances, ma lavora anche come scenografo per altri teatri tedeschi. Negli anni Trenta, prosegue la sua attività didattica al di fuori del Bauhaus, diffondendo le sue teorie sul rapporto tra uomo e spazio in altre accademie tedesche. Nel 1931 per intermediazione dell’architetto Adolf Rading, accetta di decorare la casa del Dr. Rabe a Zwenkau, realizzando la decorazione murale Uomo seduto con figura in piedi, Elemento di coordinate (sole) e grande profilo.
Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969) si forma presso lo studio di Peter Behrens, da cui impara a coniugare severità dei mezzi, purezza della forma e cura del dettaglio, con materiali industriali come vetro e acciaio. Membro della Novembergruppe, si unisce alla redazione della rivista “Gestaltung”. Nel monumento a Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, memore del suprematismo sovietico, dispone cubi di mattone come fossero volumi sospesi. Capolavoro indiscusso è il padiglione tedesco per l’esposizione internazionale di Barcellona. Nel 1930 assume la direzione del Bauhaus, nel 1938 si trasferisce negli Usa dove ricopre numerosi incarichi professionali e sviluppa il tema del grattacielo con struttura a scheletro: sono di questo periodo il Lake Shore Drive e il Seagram Building, a cui collabora anche Philip Johnson.
Giuseppe Terragni, 1904-1943, si diploma nel 1926 al Politecnico di Milano. La sua prima grande opera è il progetto per un’officina del gas, presentato nel 1927 all’esposizione del “Gruppo 7″ alla Biennale di Monza. Emblematico è l’isolato a cinque piani “Novocomun” di Como con la sua policroma semplicità. La soluzione della sovrapposizione di un volume aggettante ad angolo retto sulle vetrate circolari, verrà presa a prestito in seguito dal Costruttivismo sovietico. Il capolavoro assoluto è la Casa del fascio di Como realizzata tra il 1932 ed il 1936: un volume parallelepipedo, rivestito di marmo bianco e privo d’ornamenti, la cui forza nasce dal rapporto tra pieni e vuoti, tra luce e ombra. Uno degli esempi di maggiore intensità poetica è infine il Danteum.
Astrattisti Italiani
La pittura astratta in Italia si consolida nei primi anni Trenta e vede in Enrico Prampolini, prima e Giuseppe Terragni, poi, le due figure principali di ispirazione. Prampolini, pittore futurista, ma sempre aggiornato sulle novità nella ricerca pittorica in ambito astratto nelle avanguardie europee, è figura centrale nel processo di fusione tra futurismo e tendenze costruttiviste alla fine degli anni Venti. Per molti, tra cui Mario Radice, Luigi Veronesi, Manlio Rho, lo spunto arriva anche e soprattutto dall’architettura “razionalista”, ben esemplificata nelle opere e nei progetti di Giuseppe Terragni, per il quale Mario Radice realizza le pitture murali per la sala del Direttorio della Casa del fascio di Como.
Adalberto Libera (1903-1963) elabora ancora studente il Manifesto del Razionalismo Italiano. Nel 1928 è promotore del Movimento Italiano per l’Architettura Razionale per il quale organizza in seguito, le prime due esposizioni. Sulla base del linguaggio razionalista, Libera conduce ricerche in campi differenti, che culminano con la costruzione del Palazzo delle Poste sull’Aventino. Partecipa ai due concorsi per l’Auditorium e il Palazzo del Littorio, mentre raggiunge la piena maturità progettuale con il concorso per il Palazzo dei Congressi all’Eur. è dello stesso periodo Villa Malaparte a Capri, un’architettura magistralmente inserita nella natura dell’isola, tanto da costituire una delle opere più riuscite del razionalismo Italiano.
Luciano Baldessari (1896-1982) si laurea a Milano nel 1922, è legato non solo all’architettura ma anche alla pittura e alla scenografia, arti alle quali si dedica nel corso degli anni Venti. Le sue opere nascono da una profonda conoscenza delle avanguardie internazionali, acquisita nel corso dei numerosi soggiorni all’estero. La sua produzione, dalle prime forme espressioniste sa procedere verso un razionalismo personale e mai scontato. Fra le architetture, oltre alla collaborazione con Figini e Pollini e all’incontro con Gio Ponti, vanno ricordati i padiglioni espositivi: in particolare quello della Vesta, alla fiera di Milano del 1933, e quello della Breda per la fiera di Milano nel 1951, un’ardita struttura a nastro in cemento armato.
Gio Ponti (1891-1979) dopo la laurea a Milano, dirige la fabbrica di porcellane Richard Ginori e realizza i primi progetti, la cui sintassi formale allude tanto all’architettura lombarda quanto alla pittura metafisica. Nel 1928, fonda la rivista “Domus”, che dirigerà fino al 1941, e poi ancora dal 1948 al 1979. Le opere degli anni Trenta hanno toni razionalisti, slegati dalla rigida simmetria dei primi lavori. Nel dopoguerra, Ponti lavora su progetti dalle forme libere, attingendo appieno all’espressività dei colori e dei materiali. L’opera più nota, la Torre Pirelli a Milano, va ricordata soprattutto per l’ardita struttura portante. Dagli anni Sessanta, s’interessa di architettura sacra, la cui vetta espressiva è raggiunta nella grande vela traforata della Concattedrale di Taranto.
Frank Lloyd Wright (1857-1969) si forma presso l’atelier di Adler e Sullivan. L’amore per la natura lo conduce ad abbandonare la metropoli e seguire l’ideale di architettura organica come rifondazione culturale genuinamente americana, legata alla natura e ai materiali naturali. Il capolavoro di Wright, sintesi creativa di organicismo e di influenze cubiste e razionaliste, è la Kauffmann House, costruita sopra una cascata, in Pennsylvania, soluzione architettonica estremamente originale. L’opera più nota è il Solomon Guggenheim Museum di New York, una delle icone dell’architettura del XX secolo, edificio impostato sul tema della spirale che coincide con una grande rampa espositiva cuore dell’edificio.
Sala 16
Alvar Aalto (1898-1976) compie frequenti viaggi tra Scandinavia, Europa centrale, Italia e i rapporti con alcuni grandi maestri, tra cui Giedion, Léger, Brancusi, Moholy-Nagy, Braque e Calder, che lo coinvolgono nell’avanguardia architettonica internazionale. L’interesse maturato per elementi come l’uso della luce, l’impiego pittorico dei materiali, il rapporto dialogico tra astrattezza razionalista e naturalismo del paesaggio, rappresenta la sua cifra stilistica. Tra le sue architetture degli anni Trenta vanno citate la biblioteca di Viipuri e il sanatorio di Paimio. Dal dopoguerra l’attività di Aalto si fa sempre più intensa, ed è segnata da una maggiore attenzione per gli aspetti sociali e culturali, in un equilibrio tra padronanza tecnologica, ricerca spaziale e abilità plastica.
Carlo Scarpa (1906-1978) compie i propri studi all’Accademia di belle arti di Venezia.
Le palesi influenze dell’architettura di Wright, vengono elaborate da Scarpa in una poetica del tutto personale.
Il suo intervento più emblematico è la ristrutturazione del museo di Castelvecchio a Verona, un’opera raffinata, dove il dialogo tra vecchio e nuovo è giocato su allusioni e su chiare contrapposizioni. Di grande interesse il progetto per la tomba Brion a Treviso: una sottile contrapposizione di object trouvés che descrivono il suo gusto per il dettaglio e celebrano la morte sublimandola in un’estetica densa di simbolismi.
Sala 15 andando verso la sala 17
Arnaldo Pomodoro, 1926, si forma a Pesaro come consulente ai restauri di edifici pubblici, ma studia anche scenografia e fa pratica di lavorazione dell’oro. Nel 1954, trasferitosi a Milano incontra, tra gli altri, Lucio Fontana, mentre cinque anni più tardi conosce a Parigi un altro grande scultore, Alberto Giacometti. Le incisioni caratteristiche delle sculture di Pomodoro rivelano nella materia metallica una sorta di meccanismo primitivo, ma formato di ingranaggi di ascendenza industriale, mentre la superficie rimane liscia e specchiante. Nel 1978 nel presentare il progetto per il Cimitero di Urbino ha la possibilità di trasportare su scala monumentale quella stessa incisione: la dimensione architettonica del progetto gli permette di intervenire direttamente sull’ambiente naturale, la collina sede del cimitero, mentre ne rispetta, in superficie, l’aspetto naturalistico.
Sala 17
Louis Kahn (1901-1974) studia presso la University of Pennsylvania a Filadelfia. L’influenza di architetti come Kiesler e Fuller, determina alcuni dei più noti progetti realizzati negli anni Cinquanta, tra cui l’ampliamento della Yale Art Gallery. La matericità rude di Kahn, fatta di piante rigorosamente geometriche, volumi elementari e struttura a telaio, testimonia un profondo interesse per gli elementi primari in architettura. Progetti come il Salk Institute a La Jolla o il Medical Research Building, sviluppano temi autonomi quali il principio della “casa nella casa” ripreso in seguito da Ungers, e dimostrano un controllo assoluto della forma. Ai confini tra arte e architettura è il progetto per Riverside Drive Park, a New York, un esteso parco urbano nato dalla stretta collaborazione tra Kahn e Isamu Noguchi.
Sala 18
Alberto Burri, 1915-1995, laureatosi in medicina nel 1940, inizia a dipingere durante il suo internamento come prigioniero di guerra a Hereford, in Texas. Massimo esponente della pittura informale, Burri sperimenta continuamente i materiali con i quali esegue i suoi quadri, dai sacchi, alla plastica, al catrame. Nei primi anni Settanta inizia la serie dei Cretti in ceramica cotta arricchita con caolino. Nel 1981 realizza il Cretto bianco per Gibellina, piccola cittadina del nord-ovest della Sicilia, epicentro nel 1968 di uno dei più disastrosi terremoti del dopoguerra. La soluzione del cretto, costruito con le rovine del terremoto, è immagine metaforica dello sgretolamento delle case avvenuto durante la calamità, e trasporta su grande scala l’idea pittorica.
Nel 1984 viene rappresentata nella Chiesa di San Lorenzo a Venezia l’opera di Luigi Nono Prometeo. Questa è un esempio di collaborazione tra un team composito che realizza un’”evento” artistico dalle molteplici suggestione. Viene coinvolto nel progetto un artista, Emilio Vedova, (1919) sensibile alla dimensione architettonica dell’arte già affrontata nei Plurimi, che qui propone una serie di studi per Segni-immagini in movimento, mentre la creazione dello “spazio musicale” viene affidata all’architetto Renzo Piano (1937). Egli realizza una struttura in legno, che suggerisce attraverso la forma che ricorda la chiglia delle navi, l’esperienza del viaggio e nello stesso tempo funziona da cassa armonica ideale per il trattamento elettronico della musica.
Sala 19
Constant (1920) è uno dei fondatori, nel 1948, del gruppo CoBrA e dei protagonisti del Congresso del Movimento per un Bauhaus Immaginista, tenutosi ad Alba, Italia, nel 1956. Nella scultura Le Cirque dans l’espace di quest’anno, esprime la dimensione immateriale dello spazio, concetto che egli approfondisce nel 1958 in Nébulose mécanique. Tre anni dopo, Constant inizia a lavorare New Babylon, progetto inteso non solo come proposta urbanistica, ma come un modo di pensare e di guardare ciò che ci circonda e la vita stessa. L’idea principale è che nel futuro la tecnologia possa dispensare l’uomo da ogni lavoro, dandogli la possibilità di usare la propria creatività e tornare nomade. New Babylon rappresenta per quest’uomo nuovo la città in cui vivere.
Sala 20
Christo e Jeanne-Claude, (entrambi 1935), usano, sin dai primi anni Sessanta, l’azione dell’impacchettare gli oggetti per creare una sorta di cortocircuito nella nostra quotidiana percezione di essi. L’occasione di portare tale metodo su scala architettonica, gli viene offerta nel 1968 con l’impacchettamento della Kunsthalle di Berna, in occasione del cinquantesimo anniversario di quest’istituzione. L’edificio, così isolato dal resto del contesto urbano, amplifica la nostra consapevolezza della sua presenza e mostra quanto l’architettura possa essere fonte di emozioni. In questi anni, le loro proposte, spesso pensate per musei d’arte contemporanea, coinvolgono non solo edifici pubblici e monumenti, ma anche grandi estensioni di paesaggi naturali.
Sala 21
Jean Dubuffet (1901-1985) uno dei maestri dell’Informale negli anni Cinquanta, inizia nel 1962 un ciclo di opere caratterizzate dalla forma grafica de L’Hourloupe. Questa forma, inizialmente sfruttata solo sulle due dimensioni, viene impiegata per opere tridimensionali dal 1968, come in Tours aux figures e in Aerogyre, sculture che già esprimono le potenzialità monumentali sviluppate in seguito in opere come Jardin d’email del Kröller-Müller Museum di Otterlo, completato nel 1973. Le opere, che egli realizza d’ora in poi, sono vere e proprie proposte architettoniche, dove la forma organica de l’Hourloupe crea delle strutture complesse, come in Rues et immeubles de la ville o nel Monument à la bête debout.
Sala 22
Piero Manzoni (1934-1963) pone il problema dello spazio in maniera irrisoria nei Corpi d’aria, sorta di kit composto di un treppiede in metallo, un palloncino gonfiabile e un cartocino con brevi istruzioni per l’uso. Questi lavori sono molto vicini al progetto, teorizzato tra il 1960-61, per il Placentarium, teatro il cui involucro viene gonfiato fino ad avere un diametro di diciotto metri ed è sostenuto dalla pressione pneumatica. All’interno si presenta come una sorta di labirinto composto da molte celle controllate da un computer. Lo spettatore può determinare attraverso la sua struttura psichica, in contatto con l’elaboratore elettronico, l’itinerario e il tipo d’esperienza vissuta all’interno della struttura.
Lucio Fontana (1899-1968) inizia il suo apprendistato artistico nella bottega del padre scultore, dove inizia anche la sua attività artistica. Fonda nel 1947 il Movimento spaziale e pubblica il primo Manifesto dello Spazialismo, che segna uno dei momenti fondamentali per lo sviluppo dell’arte e dell’architettura del dopoguerra, auspicando lo sviluppo di un’arte “tetradimensionale” che contiene in sé le quattro dimensioni dell’esistenza. Usa per primo il neon come materiale per l’arte nel 1951 per il soffitto della IX Triennale di Milano, materiale che riutilizza anche per il soffitto per Italia ’61 a Torino. Sono datati tra il 1964-66, i Teatrini, opere composte da cornici-quinte in legno laccato con fondale in tela con forature, mentre la superficie è ricoperta con idropittura.
Sala 23
Francesco Lo Savio (1928-1963) è figura importante per lo sviluppo della ricerca in campo neoconcreto tra anni Cinquanta e Sessanta. Le sue opere si muovono dalla bidimensionalità dei filtri alla tridimensionalità delle articolazioni totali, analizzando il rapporto tra colore e luce o il grado zero di espressività della materia e del colore, come in Metallo nero opaco uniforme, per giungere alle sculture in cemento e metallo. Nei primi anni Sessanta propone anche progetti architettonici. Il disegno di una forma nello spazio, sempre la stessa, attraversata in tutte le direzioni dalla luce diventa il progetto per una casa, Maison au Solei, mentre basa proposte urbanistiche sulla ripetizione di moduli costruttivi.
Yves Klein (1928-1962) è segnato da un destino che lo vede bruciare velocemente le tappe di un percorso artistico pieno di momenti significativi e “rivoluzionari”, dalle Antropometrie ai dipinti monocromi blu, e nutre un forte interesse per l’immateriale. Alla fine degli anni Cinquanta, già immagina fontane di fuoco ed acqua, mentre fissa, insieme a Werner Ruhnau il concetto di “architettura dell’aria”, idea nuova del costruire basata sull’immaterialità e l’utilizzo di elementi primari naturali, come l’aria, il fuoco e l’acqua. In collaborazione con l’architetto Claude Parent, propone il progetto per una città climatizzata, sorta ti paradiso terrestre tecnologico,dove il controllo assoluto delle situazioni termiche ed atmosferiche si ottiene usando gli elementi naturali.
Paolo Soleri, (1919) dopo aver conseguito la laurea in Architettura a Torino, si trasferisce negli Stati Uniti dove lavora presso lo studio di Frank Lloyd Wright. L’influenza del maestro è dichiarata nelle opere degli anni Cinquanta, in particolare nella fabbrica di ceramica Solimene a Vietri sul Mare. Una struttura policroma che pare incastonata nella scogliera amalfitana. Alla fine degli anni Cinquanta, Soleri si trasferisce in Arizona a Scottsdale, dove istituisce la Cosanti Foundation: un insediamento sperimentale aperto agli studenti di Architettura dell’Arizona. Negli anni Settanta fonda, sempre nel deserto dell’Arizona, la città modello, tutt’ora in corso di realizzazione, di Arcosanti. Il suo nucleo iniziale è una megastruttura a 25 piani in grado di ospitare 5000 persone.
Piano Nobile
Sala 1
Architettura Radicale
I nuovi linguaggi figurativi ed espressivi introdotti dalla cultura pop e diffusi dai mass media innescano nella Londra degli anni Sessanta la necessità di un rivoluzionario cambio di prospettiva rispetto alla cultura architettonica tradizionale. Il recupero di elementi come la materia, il colore e la forma, investono ogni aspetto della disciplina architettonica e diventano parte integrante della nuova architettura definita Radicale. A partire dal modello londinese del gruppo Archigram, noto per le celebri utopie urbane, l’Architettura Radicale, si sviluppa in Italia tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta attraverso le esperienze diverse ma analoghe degli Archizoom, dei Superstudio e degli Ufo, influenzati dall’arte povera e dalla cultura pop. Un’architettura per la cui diffusione si rivelano essenziali riviste specializzate come Architectural Design diretta da Monica Pidgeon sul finire degli Anni Sessanta e Casabella diretta da Alessandro Mendini tra il 1970 e il 1977.
Ettore Sottsass (1917) partito da una colta e raffinata ricerca di significati simbolici e una personale sensibilità per colori e materiali, debitrice tra l’altro di suggestioni orientali, intraprende un percorso personale e autonomo che, negli anni Sessanta assume esiti anticonformisti, conessi con l’avanguardia Radicale. Gli stimoli derivati dalla riflessione sugli standard e sulla modularità, ma anche la conoscenza dell’arte concettuale e l’adesione alla cultura pop, lo conducono a ideare tra gli anni Sessanta e Settanta progetti più legati alla ricerca sperimentale che alla concreta realizzazione, destinati ad influenzare profondamente la personale interpretazione dell’architettura negli anni seguenti, dalle celebri visioni di Nonsense Architettonico, ai progetti per abitazioni unifamiliari.
Archigram, è il nome di un gruppo nato nel 1960 dalla collaborazione tra Warren Chalk, Peter Cook, Dennis Crompton, David Greene, Mike Webb. Le immagini di architetture meccaniche, metafore di figure tratte dal mondo tecnologico, restano grandi utopie, lontane da qualsiasi ipotetica realtà costruita o costruibile. Un messaggio autoironico che fa proprie le tecniche del fumetto, della grafica pubblicitaria e della moda, per imporsi come declinazione autonoma della Pop Art. Dal “mostro” meccanico della Montreal Tower, ai progetti urbani come la nota Walking City, le opere degli Archigram mettono in discussione la nozione stessa di luogo, che viene ridotta alla capsula abitativa artificiale, intesa come un’ossatura trasportabile.
Sala 2
Five Architects nascono da un’esperienza newyorkese avviata nel 1969 e conclusa all’inizio degli anni Ottanta, che vede affiancati gli architetti Peter Eisenman, Michael Graves, Charles Gwathmey, John Hejduk e Richard Meier. La pubblicazione del testo Five Architects nel 1972, consacra tale collaborazione presentando le loro opere come un’efficace risposta a correnti architettoniche, come per esempio il brutalismo. Il gruppo nasce dalla comune volontà di contestare tendenze manieriste dell’architettura contemporanea, come il brutalismo, in favore di un’architettura “pura”, debitrice della lezione di Le Corbusier, ma anche di De Stijl, e in grado di dissolversi fino alla trasparenza in volumi estremamente complessi e in forme concettuali.
Arata Isozaki (1931) riceve la propria formazione all’Università di Tokyo e la completa presso lo studio di Kenzo Tange con il quale collabora fino agli anni Sessanta. In questo decennio, associandosi al gruppo dei metabolisti giapponesi, elabora in forme personali l’idea di “maniera” e immagina progetti basati sulla ripetizione del modulo cubico. Dalla fine degli anni Settanta si appropria di tecniche postmoderne come la citazione e la decontestualizzazione. Dal Tsukuba Center Building, una piazza interrata che cita dichiaratamente il Campidoglio, al Musashikyuryo Country Clubhouse, nel quale il gioco della ripetizione è addirittura ridondante, fino a un’interpretazione della citazione classica più convenzionale ed elegante, come nel progetto per Art Tower Mito.
Sol LeWitt (1928), principale esponente della Minimal Art, formula sin dai primi anni Sessanta un metodo compositivo rigoroso, basato sulla geometria e sull’essenzialità. LeWitt utilizza una proporzione ben determinata per bilanciare lo scheletro esterno della struttura con lo spazio vuoto, adottando il cubo, in quanto forma geometrica in grado di essere manipolata in infinite variazioni. In questo modo, egli costruisce una griglia con la quale realizza sculture come Modular Cube-Base (Untitled Cube) del 1968. L’aspetto architettonico del metodo costruttivo modulare viene sfruttato anche nelle Concrete Structures degli anni Ottanta, mentre esplora la possibilità di uscire dalla bidimensionalità della pittura nei Wall drawings, disegni e dipinti direttamente sul muro degli edifici, in modo da trasformare la nostra normale percezione della loro architettura.
Sala 3
Norman Foster (1935), fin dai primi edifici realizzati in collaborazione con Richard Rogers, manifesta la propria tensione verso un’architettura high-tech, dove gli elementi strutturali e gli impianti, esibiti, sovradimensionati ed enfatizzati da un uso provocatorio dei colori, assumono valore decorativo. L’architettura di Foster, fortemente influenzata da personalità come Richard Buckminster Fuller, Konrad Wachsmann, Charles Eames, intraprende strade innovative realizzando progetti che hanno raggiunto nuovi traguardi nell’ingegneria strutturale. Il Sainsbury Center for Visual Arts a Norwich, l’ardita struttura della Hong Kong and Shangai Bank, o l’elegante Carrée d’Art a Nimes, rappresentano tre aspetti differenti di questa poetica.
Sala 4
Dan Graham (1942), dopo essersi dedicato ad una progettazione della comunicazione che dal concettuale si è evoluta verso il comportamentale, dal 1980 s’impegna nella costruzione di architetture, che tendono all’allargamento del funzionamento dell’arte e della visione estetica della costruzione pubblica. I suoi padiglioni tentano di integrare, in un unico oggetto, un sistema diversificato di elementi comunicativi, dal linguaggio di una scultura riduttiva, minimalista, alla sua contestualizzazione nell’ambiente. La semplicità dei volumi, cubi, cilindri, parallelepipedi, fa risaltare le capacità mimetiche delle tecniche di costruzione industriale. L’uso degli specchi trasforma la “scultura-architettura” in un oggetto leggero e fragile dove lo spazio esterno ed interno si confondono.
Gordon Matta-Clark (1943-1978) figlio del pittore surrealista Roberto Matta, si diploma in Architettura alla Cornell University nel 1968. Sin dai primi anni Settanta, egli usa media diversi, dal disegno alla fotografia e al video, e si avvicina all’architettura con un approccio “de-costruttivista”. Tra il 1972 e il 1973, Matta-Clark inizia a lavorare direttamente su edifici abbandonati o in demolizione nei quartieri newyorchesi, praticando dei tagli nelle pareti interne per mettere in comunicazione spazi diversi. I suoi “tagli” modificano radicalmente l’impianto architettonico dell’edificio scelto, come in Splitting (1974), dove la casa è letteralmente divisa in due. La documentazione fotografica e video di queste de-costruzioni, come in Bingo del 1974, testimonia l’aspetto performativo del suo fare artistico.
Aldo Rossi (1931-1997) assume la storia come strumento essenziale al progetto. Le influenze del classicismo visionario di Boullée, dell’impronta razionale di Loos, la forza delle visioni metafisiche di De Chirico, sono riferimenti evidenti fin dai primi progetti, che si avvertono anche nell’architettura effimera del Teatro del Mondo, per la prima Biennale di Architettura a Venezia. Fondamentali risultano i suoi contributi allo studio della città e del luogo, nel testo L’Architettura della Città. Tra i numerosi progetti si ricorda l’hotel Il Palazzo a Fukuoka, con cui esporta in Giappone una personale interpretazione dell’architettura italiana, ma anche il Teatro Carlo Felice di Genova, sintesi postmoderna di architettura e città.
Sala 5
Hans Hollein (1934) si muove sin dagli inizi, con grande coerenza tra arte, design e architettura.
Fortemente critico verso il funzionalismo, anticipa per certi aspetti gli esiti di gruppi appartenenti all’avanguardia radicale come Archizoom o Superstudio, ma rappresenta un riferimento implicito anche per gli OMA. Una grande attenzione per il dettaglio e per l’uso sapiente di materiali preziosi e l’estrema capacità di controllo dei volumi si manifestano già in uno dei primi progetti: il Museo Statale Abteiberg a Mönchengladbach. Qui paesaggio naturale e arte esposta si alternano rivestendo pari dignità. Un gioco ironico di citazioni e l’utilizzo provocatorio dei colori rappresentano la cifra dell’architettura di Hollein.
Gaetano Pesce (1939), architetto di formazione principalmente italiana attivo a New York, basa la propria opera su di una cultura progettuale sperimentale, anticonvenzionale e antirazionalista. A partire dalla metà degli anni Sessanta, quando si fa promotore dell’architettura “elastica”, aderisce alla corrente radicale nell’ambito del design e dell’architettura. Emerge già in quelle prime opere una predilezione per l’aspetto scultoreo dell’opera e una grande attenzione all’utilizzo dei materiali. Il suo impegno come architetto si concretizza in concorsi internazionali, come quello per Les Halles o per il Chicago Tribune, e in edifici di abitazione come Hubin’s House Project o Vertical Loft.
Dennis Oppenheim (1938), dopo le esperienze nell’arte concettuale e nella Land Art, dal 1988 passa ad articolazioni scultoree su grande scala, che scaturiscono da una relazione inedita di oggetti diversi. Le sue opere sono il frutto di una pratica alterante del paesaggio urbano, come in Device to Root Out Evil realizzata a Marghera nel 1997, in cui dimostra di voler sconvolgere ogni credenza, anche quella religiosa, semplicemente attraverso l’uso dell’immagine di una chiesa capovolta. Il recupero dell’interiorità si fa palese anche in altre proposte architettoniche, come in Drinking Structure with Exposed Kidney Pool, dove la casa s’intreccia ad una piscina a forma di rene. I suoi progetti architettonici propongono luoghi labirintici e senza scopo a metà strada tra realtà e sogno.
Siah Armajani (1939) affronta sin dalla fine degli anni Sessanta la tematica dello sconfinamento tra arte e architettura, esplorando l’idea di passaggio nella forma metaforica del ponte. Partendo dall’azione del costruire, prende in considerazione l’oggetto architettonico per eccellenza, la casa, e la scompone nei suoi vari elementi, creando una sorta di vocabolario visivo di singole entità che possono essere intrecciate e mescolate a piacere, come in Closet under Landing. Questa sua ricerca lo porta, inoltre, a progettare in scala reale le reading houses: spazi della lettura, luoghi di colloquio e incontro, sempre nel tentativo di modificare la nostra percezione e il nostro comportamento.
Vito Acconci (1940) basa il suo fare artistico su una spiccata attitudine a sollecitare disordine e confusione al fine di trasformare la realtà. I suoi interessi per l’architettura iniziano alla fine degli anni Settanta, ma assumono un carattere più progettuale nel 1988, quando fonda l’Acconci Studio, basato sulla collaborazione tra artisti, architetti e designers. Il suo scopo è produrre progetti architettonici in grado di confondere le convenzioni e i ruoli fra arte e architettura, vista quest’ultima come emozionante e comunicativa, spettacolare e festosa. Si occupa anche di macro-architettura, presentando progetti per parchi giochi, per discariche pubbliche o per centri ricreativi, dove tenta un recupero delle forme naturali ed organiche del vivere.
Sala 6
Alessandro Mendini (1931) si divide tra l’architettura e il design. Come direttore delle riviste “Casabella” prima, poi di “Modo”, da lui fondata e infine di “Domus”, partecipa attivamente al dibattito teorico sull’architettura in Italia negli anni Settanta, avvicinandosi all’esperienza Radicale.
Il recupero dei valori decorativi e della dimensione artigianale dell’opera, offrono una visione personale del design ma anche dell’architettura. Dalla fine degli anni Ottanta, attraverso l’Atelier Mendini riprende, assieme al fratello, a occuparsi concretamente di architettura. Progetti come la Casa Alessi a Omegna, la Torre del Paradiso a Hiroshima, il Museo di Groninger, rappresentano esempi unici di architettura costruita.
John Hejduk (1929-2000) desta un estremo interesse per il proprio ruolo didattico e teorico più che per l’attività di architetto. La complessa elaborazione di tipologie abitative elementari, che sperimentano spazi e scale di grandezza fino ai loro limiti estremi, si esemplificano nei progetti per le Wall Series Houses, le Texas Series Houses o le Diamond Series e documentano la sua intensa capacità analitica e formale. L’esperienza degli anni Settanta all’interno dei Five Architects, gli consente di sperimentare nuove figure architettoniche che, poste in relazione con il luogo, interagiscono provocatoriamente con esso in un complicato equilibrio tra opera architettonica e composizione poetica.
Sala 7
Charles Simonds (1945) ha iniziato il suo percorso artistico creando degli edifici in miniatura per le strade di New York. Queste costruzioni sono fatte di piccoli mattoni di creta e sono inserite all’interno di segmenti spezzati di muro o in particolari aperture. Queste costruzioni ricordano quelle dei Nativi Americani, ma anche antichi resti di architetture del passato e possono essere realizzate in strada o presentate sotto forma di scultura, come nella serie Circles and Towers Growing, 1978. Presentando architetture che sembrano appartenere al passato, evidenzia gli aspetti sociali del costruire attraverso la considerazione di ciò che la nostra cultura contemporanea crea, distrugge, valorizza e lascia dietro di sé sotto forma di rovine.
SITE, acronimo di Sculpture In The Environment, è una società multidisciplinare di progettisti fondata nel 1969 da James Wines e Alison Sky. La valenza architettonica e scultorea delle celebri facciate della catena di Magazzini Best, raffigura coerentemente il programma definito dal gruppo di allontanare l’architettura da uno stretto funzionalismo. Immagini di edifici in rovina, prospetti sollevati dal livello del terreno, lembi di asfalto che si sollevano dal suolo a contenere parcheggi, sono diventare ormai icone della “de-architetctura” divulgata dai SITE. Tra le altre opere del gruppo vanno segnalati il Museo d’Arte Moderna a Francoforte, il Ponte dei Quattro Continenti a Hiroshima e il parco Ross’s Landing nel Tennessee.
Sala 8
I possibili sconfinamenti tra arti e architettura trovano un esempio emblematico nei progetti realizzati da Claes Oldenburg (1929) e CoosjeVan Bruggen (1942) artisti, e Frank Gehry (1929) architetto. Nel loro lavoro esiste un primo aspetto progettuale, caratterizzato da immediatezza ed informalità, e una fase successiva in cui si affrontano gli aspetti tecnici della concreta realizzazione dell’idea iniziale. I costumi, le installazioni e la Barca Coltello realizzati per la performance de Il Corso del coltello, tenutasi a Venezia nel 1985, o il Chiat/Day Building, sono esempi della loro proficua collaborazione, dove la comune riflessione sul costruire si unisce alla libertà della loro forza creativa, mentre i modellini di Oldenburg e van Bruggen per musei a forma di topo e i disegni preparatori di Gehry per il Museo di Bilbao o della Gehry Residence mostrano il continuo attraversamento di campo sistematicamente operato dai tre autori.
La forma del pesce appare per la prima volta nell’opera di Frank O. Gehry (1929) nel 1981 e diventa, da quel momento, uno degli elementi prominenti di diversi progetti architettonici da lui realizzati negli anni Ottanta. Inizialmente, l’uso del “pesce” è per Gehry un modo di ironizzare sull’attenzione dell’architettura postmoderna per i motivi classici, ma in seguito il persistere di questa forma può essere giustificato come allusione simbolica alla sua infanzia e come un punto fermo nella sua ricerca sulla flessibilità strutturale di una forma. L’installazione itinerante GFT Fish, 1985-86, commissionata dal Gruppo Finanziario Tessile, rivisita l’idea dello stand pubblicitario, creando una scultura in grado di adattarsi alle molteplici necessità del committente.
Frank O. Gehry (1929) adotta nella propria architettura elementi come la dissoluzione delle convenzioni tettoniche e l’uso improprio di materiali consueti, come nella sua residenza privata a Santa Monica, dove la trasparenza negli spazi interni e la scomposizione in parti, la rendono una sorta di manifesto del decostruttivismo. L’amicizia con artisti come Serra, Oldenburg e van Bruggen influenza la sua riflessione sull’architettura negli Novanta, culminata nella realizzazione del Museo Guggenheim a Bilbao. Questo edificio, il cui aspetto plastico fatto di volumi irrazionali è dovuto anche all’uso di tecnolgie informatiche e alla sperimentazione sui materiali, rappresenta oggi un’icona di come l’architettura incida sul cambiamento economico e sociale di una città.
Sala 9
Mario Botta (1943) e Enzo Cucchi (1949) collaborano nel 1994 alla realizzazione della Cappella di Santa Maria degli Angeli al Monte Tamaro. Per accedere alla chiesa, Botta pensa l’entrata come una sorta di passaggio rettilineo esterno, da cui si gode la magnifica vista del panorama montano per scendere poi alla navata principale ed infine accedere allo spazio cilindrico della cappella. L’abside di questa ospita il principale intervento segnico di Cucchi: due mani offerenti incise su fondo blu, mentre nelle pareti si trova un ciclo di ventidue formelle di cemento, due per ogni finestra, intarsiate con la narrazione dei temi mariani. La decorazione della volta presenta forti segni pittorici, che attraverso un solo gesto, unificano la lettura spaziale dei differenti elementi architettonici.
Anish Kapoor (1954) basa la sua concezione artistica su di un complesso universo di forme volumetriche e cromatiche, che sono autosufficienti e autogeneranti. Le sue sculture, anche in grande scala, diventano progetti architettonici e ruotano intorno all’idea di transito tra pieno e vuoto, materiale e immateriale, leggero e pesante, creando per il visitatore una sorta di spazio mistico. Nel progetto per South Bank, in collaborazione con Future System, Kapoor cerca di creare un edificio non-oggettuale in cui architettura e paesaggio siano un tutt’uno, mentre Building for a Void, costruito in occasione della Esposizione di Siviglia nel 1992, dichiara, già nel titolo che l’architettura è il risultato del costruire intorno ad uno spazio vuoto.
Massimiliano Fuksas (1944) compie la propria formazione principalmente a Roma, dove si laurea e dove apre il proprio studio. La professione, che svolge tra Roma e Parigi, si alterna alle esperienze didattiche, che lo vedono professore invitato tra l’altro presso la Staadtliche Akademia des Bildenden Kunste di Stoccarda, l’Ecole Spéciale d’Architecture a Parigi, e la Columbia University di New York. La grande attenzione allo studio dei problemi urbani ed in particolare alle periferie, sono la base di molti tra i suoi progetti. Il Centro Congressi Italia, pensato per Roma, viene inteso come una grande nuvola in teflon che si libra all’interno di un parallelepipedo trasparente: una volumetria debitrice del decostruttivismo.
Sala 10
Emilio Ambasz (1943), architetto e designer di origine argentina, vive e lavora principalmente a New York, dove coordina per diverso tempo la sezione di Design del Museum of Modern Art. Progetti recenti come la Banca dell’Occhio, ma anche la celebre Casa de Retiro Espiritual, una sorta di luogo per meditare sopraelevato, riduzione simbolica dell’abitazione, sono testimonianza di una grande sapienza nell’utilizzo degli spazi e delle volumetrie più semplici in forme inedite. Dall’ambiente domestico al progetto di musei, Ambasz reinterpreta con personale eleganza gli aspetti maggiormente poetici del Modernismo e fa propria la stretta relazione tra architettura e paesaggio naturale, dimostrando un gusto davvero raffinato per la luce e i materiali.
Stephen Antonakos (1926) si esprime con media diversi e la sua produzione artistica comprende la scultura, il collage, il disegno, la stampa, per arrivare alle installazioni e, nell’ultimo decennio, ad opere architettoniche. Matrice comune del suo linguaggio è l’astrazione geometrica che si unisce all’uso del neon, elemento che unisce la tecnologia moderna con il misticismo della luce. Altra componente fondamentale di queste costruzioni, di solito cappelle, è la fusione di teorie e pratiche architettoniche legate alle avanguardie del primo Novecento con la tradizione culturale della Grecia. La rarefazione della luce emessa dal neon e la creazione di spazi in armonia tra tradizione bizantina e moderno rigore geometrico rispettano ed esaltano la loro funzione meditativa e di preghiera.
Sala 11
Balkrishna Doshi (1927) mette in pratica la lezione di Le Corbusier filtrata dalla suggestione della cultura indiana. Si forma come disegnatore presso lo studio del maestro del Modernismo, per il quale sovrintende i grandi progetti indiani di Chandigarh e Ahmebad. Negli anni Cinquanta Doshi fonda la Vastu-Shilpa Foundation, un centro studi e ricerche per l’architettura, che adotta pionieristiche soluzioni per le abitazioni economiche. È docente presso la School of Architecture di Ahmabad dove trasmette una sensibilità personale che filtra sapientemente gli elementi dell’architettura moderna attraverso il contesto indiano, un’architettura caratterizzata da un uso originale di colori e materiali.
Peter Eisenman (1932) manifesta un saldo connubio fra teoria e prassi che nasce nell’intento di sperimentare al di là del rapporto tra forma e funzione. L’opera di Eisenman è influenzata inizialmente dal razionalismo italiano e in particolare dalla figura di Giuseppe Terragni. Dalle abitazioni unifamiliari, progetti realizzati che assumono il valore ideale di manifesti teorici, all’esperienza di architettura “pura” maturata in ambiente newyorkese nel periodo dei Five Architects, riesce a muoversi dalle forme semplici derivate da De Stijl, a volumi anche molto complessi, come il Greater Columbus Center, una rappresentazione tettonica della teoria del caso rappresentata da René Thom, senza perdere l’intensità visionaria dei primi lavori.
Sala 12 (Cappella del Doge)
Thomas Hirschhorn (1957) realizza le sue opere interamente con materiali precari, tratti dal mondo degli oggetti comuni, come la carta stagnola, il nastro adesivo marrone, il cartone. L’accumulazione rozza e casuale di questi materiali nega un ordine architettonico precostituito e le strutture così costruite si mimetizzano con la crescita “organica” delle metropoli, tentando una sorta di recupero della spontaneità dell’artigianato. Hirschhorn usa la lacrima come simbolo iconografico dei concetti di confusione e di destabilizzazione emotiva, in quanto espressione di energia incontrollata. In Twin Tear, le due grosse lacrime di colore rosso sono pensate come metafora della tragedia delle Twin Towers e trasformano i due grattacieli in goccie di sangue.
Tom Sachs (1966), formatosi in ambito architettonico, basa il suo lavoro principalmente sulla manipolazione delle immagini commerciali e su come sono da noi percepite. Nell’installazione Nutsy’s, s’ispira all’Unité d’abitation progettata da Le Corbusier e terminata a Marsiglia nel 1952. L’edificio, inteso come prototipo abitativo del dopoguerra, rappresenta nel mondo ricreato di Nutsy’s il modernismo idealistico in contrapposizione con quello commerciale rappresentato dai McDonalds. Attraverso l’uso consapevole del bricolage, Sachs costruisce un modello in scala 1:25 dell’Unité, oggi uno dei più grandi e dettagliati, mentre il modo ossessivo con cui ha misurato ogni centimetro dell’edificio è testimoniato dai video che accompagnano l’installazione.
Sala 13
Gae Aulenti (1927), la cui formazione si compie con la collaborazione alla rivista “Casabella” diretta da Ernesto Nathan Rogers all’inizio degli anni Sessanta, matura una particolare predilezione per il progetto di museo. Il suo è un lavoro eterogeneo che affianca alla progettazione architettonica, il design, l’allestimento e la messa in scena, oltre al progetto urbano. Due tra le sue opere più riuscite degli anni Ottanta sono senza dubbio l’allestimento del Musée d’Orsay a Parigi e del Museu Nacional d’Art de Catalunya a Barcellona, ma va senz’altro menzionato anche il recente New Asian Art Museum di San Francisco. Da ricordare, tra i suoi progetti più incisivi, l’Unità di vinificazione nella tenuta di Campo Sasso.
Mario Bellini (1935) spazia tra un’architettura legata all’invenzione del sito, al disegno urbano e al design di arredi e prodotti industriali. Appassionato d’arte si dedica all’allestimento di importanti esposizioni. Considerato uno degli ultimi solidi interpreti della stagione del design milanese, Bellini emerge negli anni Sessanta grazie alla proficua collaborazione con Olivetti. Dopo un lustro passato alla direzione della rivista “Domus”, s’impegna in una serie di progetti architettonici nazionali e internazionali che palesano una difficile mediazione tra cultura razionalista e riferimenti postmoderni. Tra questi il Ryoma Sakamoto Memorial Hall, e il Centro Culturale di Torino.
Ilya (1933) e Emilia (1945) Kabakov usano la progettazione architettonica per creare luoghi adatti stimolare la percezione sensoriale dello spettatore. La loro riflessione, caratterizzata da una cultura nomade in quanto hanno deciso di lasciare il loro paese di origine nel 1988, li porta a confrontarsi continuamente con il passato e presente della società russa, che ha vissuto momenti di grande cambiamento seguiti a periodi di regime reazionario. Nelle tavole progettuali per Centro di Energia Cosmica è evidente il loro debito verso la progettazione architettonica di matrice costruttivista, ispirata ad una rilettura della filosofia russa di inizio Novecento, mettendo in evidenza il carattere utopico delle soluzioni proposte dagli architetti e dagli artisti di quella gloriosa epoca creativa.
Sala 14
Elisabeth Diller (1954) e Ricardo Scofidio (1935) rendono originale la propria posizione nel dibattito architettonico contemporaneo attraverso un legame inscindibile tra architetture costruite e volumetrie virtuali. Un utilizzo esclusivo delle tecnologie informatiche per il disegno dell’architettura, si sovrappone talvolta al progetto e finisce per influenzarlo nell’adozione di volumi complessi e in scelte formali non lineari. Progetti come il Blur Building o l’Eyebeam Building testimoniano questa vocazione alla complessità come risultato di una scelta progettuale. Lo studio si confronta anche con la videoarte utilizzando media diversi per rappresentare le proprie opere. Il tema dell’architettura per il benessere quotidiano, definito con un neologismo “liveness”, rivela un preciso impegno sociale.
Sala 15
Grazia Toderi (1963) usa l’immagine video per indagare un microcosmo di eventi minimi, ma carichi di possibili riflessioni sulla condizione umana, fissando l’attenzione su dettagli quotidiani e situazioni di apparente fragilità. Nella videoproiezione Il decollo, 1998, l’immagine notturna di uno stadio con le sue luci sfavillanti è ripresa dall’alto a sottolinere la forma elittica della struttura. I giochi di luce e la geometria della costruzione, uniti al sottofondo sonoro dei cori delle tifoserie ci vede spettatori distaccati e lontani di un mondo in realtà carico di passioni umane, talvolta addirittura viscerali. L’architettura dello stadio, complice la ripresa aerea e la rarefazione della luce, si trasforma in un’astronave multicolore osservata nel momento stesso in cui sta per decollare.
Sala 16
Ben Langlands (1955) e Nikki Bell (1959) esplorano la complessa rete di relazioni che collegano le persone all’architettura e ai sistemi codificati di circolazione e scambio di informazioni. La serie dei Logo Works richiama una sorta di moderna araldica. I due artisti mostrano in queste opere come i grandi palazzi, sedi dei quartieri generali di aziende corporative come la BMW o l’IBM, dominino il paesaggio urbano e giochino un ruolo chiave per la strategia pubblicitaria delle compagnie stesse. La pianta di questi edifici, presentata come rilievo immacolato su fondo monocromo, funziona come un “super logo”, con il quale l’azienda comunica la sua identità e le sue intenzioni verso il pubblico e gli impiegati nel momento in cui questi entrano e lavorano nell’edificio.
Bodys Isek Kingelez (1948), artista congolese, dagli anni Ottanta realizza sculture-maquette con materiali poveri come il cartone colorato. Opere come Etoile Rouge Congoleise, Palais d’Hiroshima e Bodys City mettono in ridicolo il rigore dell’architettura occidentale con i suoi palazzi d’acciaio e vetro ed introducono l’elemento del bricolage tipico delle costruzioni anonime delle periferie africane, dove il colore e le forme non geometriche sono predominanti. Dalla singola maquette, Kingelez passa in seguito alla progettazione su scala urbanistica con i modelli di grandi dimensioni, come Ville Fantôme, rappresentazioni tridimensionali di città future, dove il kitsch degli edifici si lega alla gioiosa atmosfera di queste “città fantasma”.
Tadashi Kawamata (1953) adotta un metodo di lavoro molto vicino a quello messo in pratica nei cantieri edili e sceglie per i suoi interventi sia luoghi in demolizione che in costruzione. I suoi progetti spaziano dalla trasformazione di una singola casa o appartamento fino all’intera riconfigurazione di una città, usando quasi esclusivamente materiali di scarto, specialmente legno, con i quali crea strutture nuove e inusuali, a metà strada tra la precarietà delle impalcature edilizie e le baracche provvisorie tipiche delle favelas o degli slums delle metropoli, come in La Maison des Squatters realizzato a Grenoble nel 1987. L’alterazione temporanea della nostra percezione evidenzia i meccanismi legati al costruire e progettare i luoghi dove abitiamo.
La poetica artistica di Siah Armajani (1939) è orientata verso un’arte “pubblica” che esce dalle gallerie e dai musei per entrare nella città. Inevitabile il confronto con l’architettura, in quanto arte per eccellenza con valenze pubbliche, ma anche sociali. Nelle sue installazioni, presenta delle costruzioni archetipe che riflettono la nostra relazione con l’architettura, pensando di fornire un vocabolario nuovo per trasformare lo spazio in cui viviamo. Dalle stanze dedicate alla lettura o a personaggi storici, Noam Chomsky o Sacco e Vanzetti, il tema qui presentato è quello dell’esilio. Glass Room of an Exile n. 2, 2003, costruita in vetro e alluminio, si trasforma in una gabbia, forma architettonica metaforica della condizione di chi è costretto a vivere lontano dal proprio paese.
Sala 17
James Turrell (1943) diplomatosi in Psicologia, ma interessato anche all’astronomia, alla geologia e alla matematica, ha incentrato il suo lavoro di artista sulla luce e sulla percezione e le sue installazioni, che accolgono forme pure di luce, sono progettate con la precisione di uno strumento ottico. Egli realizza modelli in scala per spazi autosufficienti, in cui la forma architettonica non ha alcuna relazione con l’interno, ma serve solo a creare uno spazio neutrale in cui trattenere o escludere la luce, come in Boullée Boula. Di questi Spazi autonomi, Turrell ha realizzato circa trenta modelli. Dal 1974 lavora al progetto di Roden Crater, vulcano ai confini con il Painted Desert in Arizona, dove ha realizzato un complesso di stanze comunicanti da cui assistere a fenomeni celesti.
Zaha Hadid (1950) insignita nel 2004 del premio Prizker, ed una tra le poche figure femminili stimata a livello internazionale, inizia a lavorare dopo una formazione europea conseguita presso la Architectural Association di Londra. Le suggestioni del suprematismo e del costruttivismo russo, palesi nei dipinti e nei disegni progettuali, sono elaborate in spettacolari rappresentazioni cromatiche di gusto pittorico. Poco più che trentenne, vince il concorso per Hong Kong Peak. Tra i primi progetti costruiti va ricordata la caserma dei vigili del fuoco a Weil Am Rhein, mentre uno degli ultimi lavori, è il nuovo Museo per l’Arte Contemporanea MAXXI di Roma. Un’architettura dinamica e colorata, già da più parti definita come “barocco decostruttivo”.
Jean Nouvel (1945) elabora un’architettura critica, provocatoria, capace di mettere in discussione modelli di pensiero e soluzioni tradizionali, con una predilezione per la metafora e la rappresentazione simbolica del progetto. La connessione di materiali, luci, colori e immagini estrapolate dalla quotidianità, con una tecnologia sofisticata e una attenta ricerca di materiali, rendono la sua architettura un punto di vista unico per la cultura internazionale. Un’opera di grande impatto è l’Institut du Monde Arabe a Parigi, dove gli elementi della facciata sono pensati per regolare l’incidenza della luce come obiettivi fotografici. In altri casi, Nouvel mette in scena il tema della trasparenza attraverso un attento utilizzo del vetro.
Frank Stella (1936) è un importante ed innovativo esponente della pittura astratta dalla fine degli anni Cinquanta. Le sue tele inizialmente privilegiano il rigore geometrico e la bidimensionalità, in seguito la sua ricerca si sposta verso un uso più libero e giocoso del colore e della materia e verso la tridimensionalità. Questa viene raggiunta nei primi anni Novanta con delle costruzioni in metallo, come in una delle due versioni della Chapel of the Holy Ghost, mentre altre raggiungono anche dimensioni monumentali. Legato da profonda amicizia con Richard Meier, collabora anche con l’architetto Alessandro Mendini per il Museo di Groningen e affronta la progettazione architettonica su vasta scala come centri commerciali e museali, tra cui il Museo Constantini a Buenos Aires.
Rem Koolhaas (1944) dopo un esordio come giornalista e autore cinematografico, compie la propria formazione presso l’Architectural Association di Londra dove fonda l’Office for Metropolitan Architecture il cui acronimo, OMA, indica oggi uno degli studi di architettura più attivi al mondo.Un personale contributo al tema della metropoli viene dal testo Delirious New York, che ripensa il tema della congestione della città e del grattacielo. L’influenza del costruttivismo russo, in particolare di Leonidov, è ben espressa in progetti come il concorso per il Parc la Villette di Parigi e la Galleria d’Arte di Rotterdam. Spesso opere non realizzate come la Grand Bibliotheque, o lo ZKM, sovrastano per evidenza comunicativa i progetti costruiti.
Greg Lynn (1964) pioniere nell’adozione di geometrie non euclidee in architettura, muove da un’interpretazione dinamica dello spazio cartesiano che supera la visione pittorica degli oggetti per entrare nella terza dimensione. I software e la computer animation permettono di usare il movimento per generare dinamicamente progetti architettonici, capovolgendo l’idea tradizionale di progettazione statica. L’attività didattica di Lynn, che si svolge tra alcune delle più prestigiose università americane ed europee, si alterna allo studio professionale, Greg Lynn Form, con il quale sperimenta forme derivate dall’uso del calcolatore e genera progetti di grande valore plastico e dalle geometrie irrazionali. Tra questi la Cardiff Opera House e il museo Ark of The World.
Tel. 010-5574004
EMail: biglietteria[AT]palazzoducale[PUNTO]genova[PUNTO]it
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ridotto € 9,00
studenti fino ai 25 anni € 6,00
scuole e bambini fino ai 12 anni € 3,00
affitto audioguida € 5,00
laboratorio+mostra € 6,50
Orario:
aperta tutti i giorni escluso il lunedì
dalle ore 9.00 alle ore 21.00 (la biglietteria chiude alle 20.00)
aperto nelle festività
Visita gruppi:
prenotazione obbligatoria Tel. 010-562390
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Prevendita on line:
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Servizi:
Guardaroba gratuito, carrozzelle per disabili, bookshop, ristorazione
La mostra è inclusa nella GeNova04 Card
Card annuale (ingresso illimitato a 11 mostre)
intero: 60,00 €
ridotto: 45,00 €
Card 3 giorni
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