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Raimondo La Magna. Una scoperta

quadroPORTOx sito

dal 28 ottobre al 12 novembre 2017
Sala Liguria
mostra a cura di
Luciano Caprile

Consulta il sito della mostra

Ingresso libero, tutti i giorni dalle ore 9 alle 19
venerdì dalle ore 9 alle 21

Arte come sofferenza, arte come intima scarnificazione, arte come lettura impietosa di sé e del proprio tempo. Per Raimondo La Magna il tardo approdo alla pittura è maturato dopo un lungo percorso di studio e di ricerca da riversare nella precedente attività di cartellonista e quindi di restauratore tramite la continua sperimentazione di pigmenti, di colori e di materiali che sembravano scaturiti dall’inconscio o da quella parte che viene di solito tenuta a bada dalla ragione perché foriera di ricorrenti dubbi e di strazi interiori. Seguendo tale iter ( nutrito anche di cultura poetica da riflettersi in particolare nel nome di Eugenio Montale ) egli è pervenuto a una pittura di pudica ostensione e quasi di impietosa espiazione. Tanto da indurlo a distruggere certi dipinti col pretesto della loro inadeguatezza; invece venivano probabilmente eliminati per cancellare il peso costante e insopportabile di qualche dolorosa memoria che li accompagnava. E di cui forse si sentiva complice o colpevole. Non è agevole entrare nel merito di certe logiche che hanno indotto grandi maestri a immolarsi nelle loro opere, a subirne il sinistro fascino o la reiterata denuncia.
La mostra di Palazzo Ducale permette pertanto al visitatore di entrare nello spirito e nel gesto di un artista che ha scelto di esibire certe contraddizioni e certi strazi che non solo appartenevano a lui ma che appartengono a tutti noi dal momento che ci accompagnano nella vita di tutti i giorni. Lo ha fatto avvalendosi di allegorie che chiamano in causa non solo la figura umana ma anche la natura morta e certi mirabili scorci della nostra città. In tal modo ogni elemento rappresentato sulla carta, sulla tela o sulla faesite si traduce con lui in palpitante allusione esistenziale, in momento di critica riflessione. La Magna non mima semplicemente la vita nella descrizione o nell’interpretazione di un elemento d’occasione ma trasforma il gesto in momento di critica riflessione e di maggior conoscenza di se stessi.

Art as suffering, art as the intimate stripping of flesh, art as a harsh reading of oneself and of one’s time. For Raimondo La Magna the late arrival to painting matured after a long course of study and research that reversed in the previous activity of poster designing and so as a restorer through the constant experimentation of pigments, of colours and of materials that seemed sprung from the subconscious or from the part of the brain that reason controls as it heralds recurring doubts and interior torment. Following this path (also nourished by poetic culture that reflects in particular in the name of Eugenio Montale) he reached a painting technique of modest ostentation and almost of ruthless atonement. Such as to push him to destroy certain paintings with the justification of their inadequacy; instead they were probably destroyed to cancel the constant and unbearable weight of some painful memory that accompanied them. And of which he felt accomplice or guilty. It is not easy to enter within certain reasons that induced the old masters to sacrifice themselves in their work, to undergo their allure or the reiterate denunciation.
The exhibition of Palazzo Ducale therefore permits the visitor to enter within the spirit and the movement of an artist that chose to show certain contradictions and certain torments that weren’t only his but belong to all of us from the moment that they accompany us in everyday life. He did it by using allegories that recall not only the human figure but also still life and certain incredible views of the city. In such a way every element represented on paper, on canvas or on hardboard translates with him in a pulsing existential allusion, in a moment of critical reflection. La Magna doesn’t simply imitate life in the description or in the interpretation of an element of opportunity but transforms the gesture in a moment of critical reflection and of a greater knowledge on oneself.





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