Visita virtuale
Sala del Minor Consiglio
[qt:http://www.palazzoducale.genova.it/img/gallefoto/360/salonetto.mov 480 240]
La Sala che vediamo oggi è quella ricostruita dopo l’incendio del 1777 dall’architetto Simone Cantoni, autore anche della copertura della sala e della facciata su Piazza Matteotti. Disposta verso nord, era denominata per la sua collocazione Consiglietto da Estate e utilizzata nei mesi caldi dell’anno. Il ricco apparato decorativo e pittorico è realizzato dallo stuccatore Carlo Fozzi e dal pittore e scrittore d’arte Carlo Giuseppe Ratti (Savona 1737 – Genova 1795). A Carlo Barabino (Genova 1768-1835) viene attribuita la balaustra circolare in marmo che delimitava lo spazio riservato al trono del Doge.
Il soffitto presenta due monocromi, La Liguria sparge tesori alle Provincie e Giano sacrifica alla Pace, fra i quali campeggia L’apoteosi della Repubblica con l’allegoria della Divina Sapienza, ripresa da un bozzetto di Domenico Piola attualmente conservato nella Galleria di Palazzo Bianco. Nei due lunettoni in cima alle pareti di fondo della sala, il Ratti ripropone due opere tratte dai bozzetti di Francesco Solimena distrutte durante l’incendio del 1777: L’Arrivo a Genova delle Ceneri del Battista e Lo sbarco di Colombo nelle Indie.
Cappella del Doge
[qt:http://www.palazzoducale.genova.it/img/gallefoto/360/cappella.mov 480 240]
In questo spazio ogni più piccola porzione di superficie è decorata: il pavimento, risolto con una barocca tarsìa di marmi policromi, le pareti e il soffitto, dove l’intenso programma pittorico, opera di Giovanni Battista Carlone (Genova 1592 – Torino 1677) ed eseguito tra il 1653 e il 1655, è inquadrato da finte architetture dipinte con scenografica abilità prospettica dal quadraturista Giulio Benso (Pieve di Teco 1600 ca.-1668).
Nella parete d’ingresso incontriamo il grande affresco Colombo che pianta la croce nel nuovo mondo sopra al quale si trova la Cantoria.
Nella parete di destra La presa di Gerusalemme da parte di Guglielmo Embriaco, mentre nella parete di fronte L’arrivo a Genova delle ceneri del Battista.
La volta è affrescata con La Vergine in trono con il cartiglio et rege eos (che compare anche nelle monete del tempo) con i Santi protettori Giorgio, Giovanni Battista, Bernardo e Lorenzo e gli angeli in volo che offrono la corona, lo scettro e le chiavi della città.
Sull’altare, illuminata con un straordinario effetto di luce naturale proveniente da un lucernario, è la scultura della Vergine regina di Genova, opera di Francesco Schiaffino (Genova 1689?-1763?). Nella porticina del tabernacolo è la raffigurazione della Fede, in olio su rame, opera di anonimo del XVII secolo.
La decorazione della cappella dedicata alla gloria di Genova e della chiesa genovese, esalta l’elezione di Maria Vergine a Regina della repubblica, voluta dal senato genovese per equiparare l’antica repubblica marinara alle monarchie europee.
Le carceri
[qt:http://www.palazzoducale.genova.it/img/gallefoto/360/carceri.mov 480 240]
Salvo la gabbia superiore tutto l’edificio era occupato dalle carceri. Nei grandi cameroni a volta i detenuti stavano in comune, spesso incatenati. Lungo i ripiani della ripida scala c’erano anche alcune segrete per condannati speciali. Le carceri della Torre, almeno fino ai primi decenni dell’Ottocento, erano destinate ad ospitare detenuti politici o persone colpevoli di crimini particolarmente efferati, nonché, nelle più comode parti superiori, esponenti della nobiltà in attesa di riscatto. I detenuti comuni venivano per lo più rinchiusi nelle carceri dell’adiacente Palazzetto Criminale (ora sede dell’Archivio di Stato) che era collegato a Palazzo Ducale da un passaggio aereo.
Da un romanzesco processo contro il custode delle carceri Giovanni Battista Noceto, reo di favoritismi illegali nei confronti di alcuni detenuti, veniamo a conoscere i curiosi nomi che venivano dati alle singole celle: Paradiso, Superbia, Examinatorio, Canto, Stanza della Cappella, Reginetta, Armi, Donne, Pregionetta, Pistolle, Diana, Colombara, Luna, Granda, Palma, Gentilomo, Gabbia, Ferrate, Sicurezza, Dianetta, Gallina, Strega, Volpe, Capitania, Ospedale, Pozzetto. Secondo alcuni esisteva anche una cella chiamata Grimaldina che avrebbe dato poi il nome corrente alla Torre.
Il carcere detto la Grimaldina era riservato solitamente ai detenuti politici e si trovava ubicato nella parte dell’antico Palazzo del Comune, a ponente della Torre, prospettante sull’attuale via Tomaso Reggio. E’ facile immaginare quale fosse la vita lassù: il poco vitto e i disagi delle intemperie minavano in poco tempo la salute dei detenuti. Per molto tempo il mantenimento dei carcerati fu affidato alla carità pubblica. I carcerati riposavano su fetidi pagliericci, avvolgendosi in coperte sporche e spesso nell’inverno, quando la tramontana e il nevischio imperversavano attraverso le inferriate, adoperavano pagliericci e coperte per ripararsi alla meglio ammucchiandoli lungo i finestroni.
La Torre Grimaldina
[qt:http://www.palazzoducale.genova.it/img/gallefoto/360/torre.mov 480 240]
La Torre rappresenta un punto fermo nella ricostruzione operata da Orlando Grosso (Genova 1882-1968) durante i lavori di restauro del 1935-1940. Lo studioso pone infatti la costruzione della Torre in una fase cronologica intermedia della strutturazione del Palazzo del Comune: la Torre sarebbe stata costruita non prima del 1298 e non molto oltre il 1307 dopo il completamento del portico e del primo piano del Palazzo di Alberto Fieschi; ad essa sarebbe stato poi addossato l’edificio di ponente, ed infine un altro piano si sarebbe aggiunto al Palazzo Fieschi.
Se la successione può risultare verosimile per i due palazzi che vennero a costituire l’organismo del Palazzo del Comune, il problema della Torre è argomento controverso. Alcuni fatti e dati fanno pensare che la Torre non solo fosse anteriore all’edificio del 1291, ma addirittura che preesistesse allo stesso Palazzo Fieschi.
Principale assertore di quest’ultima tesi è il Poggi che si allinea alle teorie del Banchero e in certo qual modo a quelle del Giustiniani.
La torre – egli dice – può essere una delle antiche torri di difesa della città dalla parte di Serravalle. È stato obbiettato che la torre ha carattere di costruzione civile e non militare. Senonché l’osservazione è messa in dubbio dal fatto che la cinta del secolo XI e X fu una difesa apprestata in fretta dagli abitanti di San Lorenzo e dai milanesi di S. Ambrogio per chiudersi, per coprirsi le spalle dal colle di S. Andrea di Banchi. Le torri furono probabilmente apprestate in fretta dove erano le case, e la popolazione concorse nell’elevare le mura fra torre e torre. Ed ogni torre ebbe il suo proprietario. Entrambe le teorie, in mancanza di documenti certi, hanno un loro fondamento, tuttavia l’origine viscontile prospettata dal Poggi appare più mitica che storica.
Quel che comunque appare certo è il fatto che la Torre faceva sicuramente parte del Palazzo di Alberto Fieschi.