Oltre e prima che realtà tangibile, la geopolitica è gioco di percezioni e rappresentazioni. Per definirsi come soggetti, accreditare un’immagine di sé, selezionare i tratti della propria fisionomia e della propria strategia che si intende proiettare all’esterno. Per affermare un’identità, generare influenza, imporre una volontà, stabilire una deterrenza. Così tutelando i propri interessi e lasciando un segno nel mondo.
A tal fine, il mito è strumento essenziale. Perché crea un’epica in cui gli attori geopolitici possano riconoscersi ed essere riconosciuti. Perché postula e cementa criteri identitari che fungono da guida e riferimento nell’affrontare i dilemmi dell’umano agire. Perché configura un elemento immanente, ancorché pro tempore, cui commisurare mezzi e fini.
Ma in quanto epica che aspira all’eternità, il mito è anche stereotipo, travisamento, rappresentazione parziale e idealmente statica di una realtà geopolitica complessa, dinamica e fattuale. Come tale può trasformarsi in prigione cognitiva, in feticcio. In un tabù che impedisce di cogliere appieno il senso delle dinamiche storiche, cercando per quanto possibile di orientarle. La settima edizione del festival di Limes è dedicata all’esplorazione di questa dimensione dell’agire geopolitico, oggetto di narrazioni e propagande. Una dimensione immateriale, ma tutt’altro che marginale e densa di ricadute concrete.
Nei giorni del Festival, in Sala Liguria sarà allestita la mostra cartografica di Laura Canali Le frontiere mobili