Ora che è trascorso un secolo dall’ottobre russo e un quarto di secolo dall’epilogo della vicenda apertasi nel 1917, una considerazione si impone: è da ben più che un secolo che si replica la stessa “rivoluzione”; ciò che cambia è il lessico, conforme alle singole epoche. Ciò che rende inevitabile la replica, il rinnovarsi del tentativo, è che tutte le rivoluzioni prima o poi si snaturano o, meglio, divengono altro. I superficiali dicono “le rivoluzioni falliscono”. Lo dicono anche i dogmatici, i quali, in genere, ignorano il peso della storia. Orbene, proprio il fatto che esse, comunque, sia pure in diversa veste e con parole nuove, tornino a riproporsi, ne dimostra la necessità. La posta in gioco è, da sempre, l’uguaglianza: da Erodoto, e forse da ben prima, in poi. Quale che sia la durezza delle rivoluzioni, l’ineguaglianza risorge e, sempre daccapo, provoca repulsa e disgusto. Repulsa in alcuni; rabbiosa difesa dei propri privilegi in altri.
Non è di ieri né di ieri l’altro, bensì del 1791, la formulazione a inverare la quale il conflitto ogni volta si riaccende: “Gli uomini nascono E RESTANO uguali” (Preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo). Chi ben rifletta, comprende che tutto si gioca su quelle due parole “e restano”. Giacché, una volta scritte, quelle parole diventano un programma, un impegno, una parola d’ordine. E proprio mentre vengono disattese, vengono tuttavia puntigliosamente riproposte. Di modo che, quando risulta evidente che ci si è allontanati dalle premesse e dalle promesse delle rivoluzioni precedenti, ecco che sono mature le condizioni perché venga a esistenza una nuova scossa. Non è un andirivieni insensato, bensì il movimento perenne, forse destinato a non chiudersi mai, della storia umana. Leggi di più