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Ordine mentale? 

Giochi, non solo, di parole

ordine_mentale

dal 14 febbraio al 20 marzo 2016

Sala Camino
 
a cura di Stefano Bigazzi
 
Nella vita non è difficile essere catastrofisti. È un’esperienza comune e diffusa di questi tempi. Meno comune è credere che ci sia il modo per rimettere le cose a posto. Partendo da se stessi. Pensando, magari. Ed è già qualcosa, non solo in tempi di declino civile. Così in un mondo che gira vorticosamente lasciando storditi, pieno di idee a prestito, di sentimenti sotto vuoto, di ignoranza diffusa, talvolta bisogna provare a mettere ordine. Nella testa. Poi però, lasciarsi andare, perché bisogna anche provare a essere ottimisti. Di tutto questo guazzabuglio si può discutere e, davanti a ogni interrogativo, interrogarsi e farsi interrogare. Chiedersi e chiedere: potrebbero anche arrivare risposte.
Una confusione organizzata in sei conversazioni domenicali
nelle quali giocare, con estrema serietà, intorno al disorientamento, alle paure, alle malattie del corpo e della mente, quelle della società contemporanea, e individuare da qualche parte, sempre che esista, una via d’uscita.
 

 
 

14 febbraio 2016, ore 10.30

Lo sconcerto
Non c’è un punto fermo, uno solo. A un certo punto, senza alcun avviso, senza premonizioni, sentori, accade qualcosa che muta l’intero paesaggio circostante.
Sorprende, disorienta, inganna. Si perde ogni nozione di stabilità all’improvviso e si scopre un mutamento nei rapporti con chi (o cosa) si ha di fronte o intorno. Qualcuno (o qualcosa) che non è più lo stesso, ma è cosa da niente, passa. Torna, riaffiora. È una parola inattesa, un paradosso, il colmo. Lo sconcerto non può essere eterno. Può capitare che ci si rassegni, ma anche che si reagisca, e dopo lo smarrimento si cerca di riprendere il cammino, si colgono aspetti non visti, altri inattesi. Potrebbe addirittura essere salutare, se lo si affronta senza paura.

21 febbraio 2016, ore 10.30

Senza parole
Come nelle barzellette, ma non c’è sempre da ridere. Parole che non vengono, rimaste indietro da qualche parte. Sulla punta della lingua. Succede, a tutti, talvolta. E talvolta succede, non
a tutti, di rimanere senza parole, e non è una barzelletta. Si chiama malattia di Alzheimer, erode giorno dopo giorno il vocabolario. E molto altro. Ma ci dimentichiamo delle parole – di cosa e quanto significhino – anche senza essere malati, parole che esistono e forse non si pronunciano perché se ne ha in qualche maniera paura. Bontà, arcaico. Ma c’è il buonismo. Rettitudine. Etica. Scusa. È duro chiedere scusa, quanto sarebbe semplice. Rileggere il vocabolario, come una distesa di pensieri piena di insidie ma anche di gradevoli sorprese.


28 febbraio 2016, ore 10.30

La routine
Luciano Bianciardi, la solita zuppa. Il senso ordinario dell’immutabile, giorno dopo giorno, senza cambiamenti. Insomma l’incapacità di pensare un percorso diverso, di scorgere
appena un po’ più a sinistra o un po’ più a destra del paesaggio che stiamo osservando un luogo mai visitato, un volto interessante, un colore malizioso. C’è chi ripete lo stesso gesto
a casa, sul lavoro, a scuola, con la persona amica e con quella amata, nel conforto della ripetitività, e c’è chi ripete in maniera sconfortante i gesti meno consueti di una vita stravagante,
sempre uguale nella sua eccentricità. Il rischio di finire con la solita zuppa è alto, ma c’è sempre il modo di cambiare cucina, per non lasciarsi irretire dalle sirene della pigrizia.


6 marzo 2016, ore 10.30 Società Ligure di Storia Patria

Giochi, giocherelloni, giocati
Alea iacta est. Un azzardo. Quando i dadi sono stati gettati non c’è più tempo per tornare indietro, bisogna solo attendere che si fermino e mostrino la faccia. E poi si decide la sorte.
Giocare meno, giocare tutti. Si giocava per strada, sotto casa, in qualche circolo o all’oratorio, in casa, da soli o con gli amici. Un irrefrenabile impulso che innescava strani conturbanti
meccanismi, per cui bastava una palla per indurre i ragazzini o le ragazzine presenti a tirare qualche calcio. Senza alcuna disciplina. Adesso il gioco dà dipendenza, è un mostro suadente
che prende il cuore e il cervello e davanti a una macchina spinge a sfidare la sorte, se stessi e il proprio patrimonio. È un gioco? Un gioco che dura poco. Siamo stati giocati.


13 marzo 2016, ore 10.30

Cosa significa un quadro
Gustave Courbet, “L’origine du monde”. Marcel Duchamp, “Fontaine”. Renato Cenni, “Calvario”. Eccetera. Qualcosa vorranno ben significare, tali opere, ciò che l’autore ha pensato e narrato per immagini, pennellata dopo pennellata (o martellata o scalpellata), ma anche quanto di fronte alla tela o alla scultura lo spettatore comprende. E immagina. Anche quello che non ha visto l’artista. L’opera d’arte significa in qualche modo bellezza, anche nei suoi dettagli più raccapriccianti, e l’idea di bellezza rappresenta lo scopo dell’arte? Oppure l’arte dovrebbe muovere il pensiero, colpire le emozioni, evocare passioni? Guardando l’Annunciazione del Beato Angelico o l’acquarello di un dilettante, suscitare sentimenti. Il significato.


20 marzo 2016, ore 10.30

Di chi sono i nostri pensieri
Un fiume di persone sotto il balcone di piazza Venezia. Labari elmetti e stivali, bandiere brune e bandiere rosse. Perché ancora non c’era la televisione, che non pretende parate ma pervade sottilmente. Racconta, spiega, convince. E non è l’unica. Un tempo la scuola contribuiva a formare il bagaglio di esperienze e convinzioni degli individui, adesso la scuola è molto meno rappresentativa, non come X Factor. Meglio qualcuno che pensi per tutti, si fa prima. Si fa meglio?
Se si mortifica la scuola si deteriora la capacità di crescere. Se manca la scuola manca la società tutta. Non è comunque un processo irreversibile, come insegnava in televisione il maestro Alberto Manzi, non è mai troppo tardi.






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