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Bernini: un percorso di gloria. Da piazza San Pietro all’Altare della confessione, all’Apoteosi della cattedra

Antonio-Paolucci

26 marzo, ore 21
Antonio Paolucci
Il rapporto stabilitosi fra il papa Alessandro VII Chigi e Gian Lorenzo Bernini è la plastica traduzione di questo quasi biologico concetto albertiano.
Il papa aveva le idee chiare a proposito del porticato che doveva circondare Piazza San Pietro. Aveva da essere – sono parole sue – una “macchina eroica” capace di accogliere i cristiani ma anche “gli heretici per riunirli alla vera Chiesa e gli infedeli per illuminarli alla vera fede”. Gian Lorenzo Bernini tradusse quella formidabile idea della Chiesa madre che abbraccia i suoi figli, nel “gran teatro di colonnate” che conosciamo e che è la scenografia più imponente e più suggestiva del Barocco romano.
Il porticato del Bernini, strutturato su tre corsie per ogni “mezzaluna” (così si chiamavano i due segmenti semicircolari) vuol dire 44.000 metri cubi di travertino, 248 colonne, 140 statue della corona apicale. Il tutto realizzato in meno di venti anni fra il 1656 e il 1673. Il confronto con gli attuali grandi cantieri di Roma (la “Nuvola” di Fuksas, la “Vela” di Calatrava) fermi da molti anni per penuria di fondi e per intralci burocratici, rischia di apparire decisamente imbarazzante.
Da piazza San Pietro ha inizio quello che io chiamo il “percorso di gloria”, l’apoteosi religiosa più straordinaria che mai sia stata tradotta in architettura e che è stata interamente pensata e realizzata dal genio teatrale del Bernini. Si parte dunque dalla piazza, dalla foresta di colonne e dai santi, celeste esercito della Chiesa Trionfante, che fanno corona alla piazza stagliandosi contro il cielo e le nuvole di Roma. Si entra nella Basilica ed ecco il baldacchino di bronzo che, in asse con la tomba dell’Apostolo Pietro, sovrasta l’altare detto della Confessione.
Anche qui è all’opera il Bernini che per raccogliere il prezioso costosissimo bronzo necessario all’impresa, non esitò a spogliare il materiale metallico che ornava l’atrio del Pantheon.
Celebrando la messa sull’altare della Confessione il papa dichiara (cioè “confessa”) la sua fede ortodossa e la legittimità della sua successione dal Principe degli apostoli.
Ai quattro angoli di questo spazio sacro, quattro statue monumentali rappresentano i testimoni storici della Passione e Morte di nostro Signore. C’è di Francesco Mochi, la “Veronica”, la donna che asciugò con il fazzoletto il volto di Cristo, c’è dello stesso Bernini, il centurione Longino che ne trapassò con la lancia il costato, c’è Elena la santa madre di Costantino che scoprì, secondo la leggenda, la vera croce del Salvatore, c’è Sant’Andrea anch’egli martirizzato di croce.
L’ultimo stupefacente colpo di teatro ci accoglie subito dopo il baldacchino di bronzo. È la glorificazione della presunta cattedra di San Pietro ed è l’affermazione del primato del magistero papale.
Una cornice di stucchi e di bronzi dorati circonda la reliquia della cattedra che quattro dottori della Chiesa, due latini e due greci (Agostino e Ambrogio, Atanasio e Crisostomo) sostengono e una schiera di angeli glorifica.
Gian Lorenzo Bernini lavorò all’allestimento scenografico della Cattedra per dieci anni, fra il 1656 e il 1666. Come scrive Giulio Carlo Argan il sogno del grande architetto era quello di modellare l’intera Roma come una sola immensa scultura. Nella parte della città che sta fra la Basilica e il fiume egli ha avuto la possibilità di realizzare almeno in parte, questa sua meravigliosa utopia. È quello che io chiamo il “Percorso di gloria”.


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