I Bronzi di Riace
21 gennaio 2016, ore 21
Sala del Maggior Consiglio
Salvatore Settis
I grandi capolavori di tutti i tempi tornano protagonisti delle conversazioni d’arte di Palazzo Ducale in un ciclo di incontri di grande successo giunto alla quarta edizione.
Chi raffigurano i Bronzi di Riace e da dove provengono? A questo e ad altri interrogativi tenterà di dare risposta Salvatore Settis
I bronzi di Riace vengono dal mare, come la maggior parte dei (pochi) grandi bronzi greci venuti alla luce nell’ultimo secolo. Le statue di bronzo, assai pregiate, vennero spesso depredate dai Romani nelle città greche conquistate (come Corinto o Siracusa), e portate a Roma per mare, con occasionali naufragi. Perciò, per datare il momento in cui i due Bronzi finirono sulla costa calabrese, sarebbe importante trovare il relitto della nave che li trasportava. Ma le ricerche hanno dato risultati deludenti (venti anelli di piombo, la maniglia di uno scudo): il relitto, a quel che pare, non c’è. Altre indagini hanno offerto dati importanti: per esempio, le terre di fusione estratte dall’interno delle due statue indicano come luoghi di produzione Atene o Argo; e uno studio sulla modalità di ancoraggio delle statue alla base mediante tenoni di piombo (Torelli) ha accertato che il fissaggio dei Bronzi fu in uso, specialmente ad Atene, tra il 450 e il 430 a. C.
Ma le due statue, ripescate insieme, erano in coppia anche nella loro collocazione originaria? Su questo punto le ipotesi si dividono: secondo alcuni furono concepite separatamente, secondo altri facevano parte di un gruppo molto più vasto: si è pensato ai nove eroi della guerra di Troia, opera di Onatas di Egina, rappresentati su un lungo basamento a Olimpia mentre attendono che sia sorteggiato chi di loro dovrà affrontare Ettore; o ai Sette a Tebe schierati a Delfi; o ancora agli eroi che dettero nome alle tribù dell’Attica, rappresentati da Fidia a Delfi e ad Atene. Terza ipotesi, i Bronzi potrebbero essere stati concepiti sin dall’inizio come una coppia, senza far parte di un gruppo più vasto. Anziché esporre nel dettaglio queste congetture, tentiamo quattro brevi osservazioni.
Primo : i due bronzi hanno misure quasi identiche e attitudine corporea assai simile, tanto che un’esperta di bronzi antichi, Carol Mattusch, li ritiene “fatti in serie”, in una stessa bottega, e poi accortamente differenziati l’uno dall’altro durante la lavorazione. Ma la loro somiglianza è tanto forte che, congiunta al fatto che sono state ritrovate insieme, per probabilità statistica fa escludere che le coincidenze di misura siano un puro caso. Secondo punto: i due Bronzi si differenziano l’uno dall’altro soprattutto per l’ethos che li anima. Nel linguaggio archeologico, ethos indica l’attitudine e lo spirito che corrisponde al “carattere” di dèi ed eroi, e ne fa altrettanti ben individuati “tipi ideali”: per esempio, Zeus è riconoscibile non per il fulmine, ma per l’ethos; e così ogni dio, ogni eroe, ogni figura rappresentata. Ora, l’ethos delle due statue è tanto diverso che una (Riace A) viene chiamata spesso “il giovane” e l’altra (Riace B) “il vecchio”, anche se non c’è nessuna ragione di farlo. L’ethos di A è violento e aggressivo, quello di B remissivo e quasi mesto. Dovremmo dunque escludere dal novero delle ipotesi plausibili quelle che presuppongono due figure “alla pari” (per esempio due atleti, o due eroi delle tribù attiche).
Terza osservazione : spesso, per identificare i personaggi rappresentati, si citano bronzi menzionati nella Descrizione della Grecia di Pausania (II secolo d.C.). Ma quando Pausania fece il suo Grand Tour della Grecia i Romani avevano già tolto molti bronzi dal loro contesto originario: l’età d’oro di queste operazioni di spoglio va dal 150 a.C. al 65-69 d.C. circa, quando Nerone (scrive Pausania) «nella sua sterminata irriverenza strappò al dio di Delfi cinquecento statue di bronzo, sia di uomini che di dèi». Ma se i bronzi di Riace furono portati via dalla Grecia da Nerone o prima, che senso ha cercarne qualche traccia nel testo di Pausania? E invece è bene farlo, visto che in qualche caso gli originali asportati furono sostituiti da copie. Questo è forse il caso del Pitocle di Policleto: Pausania lo menziona a Olimpia, dove si è ritrovata la base con iscrizione; ma un’altra base con iscrizione si è trovata a Roma, e forse a Olimpia non c’era che la copia. Inoltre, talora Pausania si basa su testi più antichi (come la perduta Descrizione dell’Acropoli di Polemone, II secolo a.C.), proprio come anche oggi tante guide turistiche sono compilate su guide un po’ più vecchie, aggiornandole in modo non sistematico. Vale la pena, dunque, di interrogare Pausania.
Ma allora chi rappresentano i bronzi di Riace? Dai recenti studi di Vinzenz e Ulrike Brinkmann, puntati a ricostruire l’apparenza originaria del Bronzo A in un sperimentale copia bronzea (esposta a Milano alla mostra Serial Classic della Fondazione Prada), è emersa con prepotente evidenza l’importanza, ai fini dell’identificazione, dei dettagli narrativi. La copia mostra una vivacità disturbante: la pelle naturalisticamente “abbronzata”, i denti d’argento, i capezzoli e le labbra di rame, la ricostruzione di elmo, scudo e lancia in bronzo dorato. Risalta in tal modo il tipo ideale del corpo maschile nudo, dove la nudità ha valore non anatomico né aneddotico, ma etico, in quanto rispecchia il ruolo (e l’eguaglianza) dei cittadini nella polis, quello che i Greci chiamavano kalokagathia (congiunzione di bellezza fisica e morale). I dettagli del bronzo A (come il diadema “regale” che gli cinge i capelli, la sua postura generale o la bocca semiaperta che mostra i denti in lamina d’argento) indicano che esso era in forte interazione con un altro personaggio, a cui si rivolgeva con movenza spavalda e dominante. Sarà stato il Bronzo B? Brinkmann ne sta allestendo una simile copia, ma già da ora ha proposto con forza che i due Bronzi fossero in stretta relazione narrativa nel loro contesto originario. Secondo la sua ipotesi, l’armamento di B era “leggero”, con un berretto di pelle di volpe (alopekis), e altri dettagli di tipo trace (ascia a doppia lama, scudo semilunato o pelta). Ma se i due bronzi sono caratterizzati, mediante i copricapi e l’armamento, come due distinti eroi di rango, un Greco e un Trace, c’è una sola coppia mitica che risponde a queste caratteristiche: Eretteo, re di Atene, e il suo avversario Eumolpo, figlio di Poseidone. E da Pausania sappiamo che sull’Acropoli di Atene c’erano «due grandi statue di bronzo, che rappresentano due uomini disposti a battaglia, e li chiamano l’uno Eretteo e l’altro Eumolpo»; il loro scontro (la “guerra di Eleusi”) è ricordato da Tucidide e forse rappresentato in una metopa del Partenone e nel fregio del tempio di Efesto. Proviamo dunque a “leggere” i due Bronzi come possenti guerrieri che si fronteggiano, l’uno (Eretteo), armato alla greca, con l’aria di sfida (o l’ethos) del vincitore, l’altro (Eumolpo), con il più leggero armamento trace e l’aria malinconica (l’ethos) di chi sarà sconfitto.
Se Brinkmann coglie nel segno, e se i bronzi di Riace vengono dall’Acropoli di Atene, come non ricordarsi che in un altro passo lo stesso Pausania parla di un Eretteo di Mirone? E che il bronzo A è stato attribuito a Mirone, su altre basi, anche da altri studiosi (Dontàs, Pucci)? Congetture, certo, ma degne di attenzione e di verifica. Nella mostra Triumph der Bilder, che apre a Francoforte tra qualche mese, vedremo accanto alla ricostruzione sperimentale del Bronzo A quella del Bronzo B: un’occasione unica per mettere alla prova questa e altre ipotesi.
rassegna I capolavori raccontati