I disastri della guerra: Il 3 maggio 1808 di Francisco Goya
12 marzo, ore 21, Sala del Maggior Consiglio
Piero Boccardo
A fronte di una tradizione pittorica secolare volta a rappresentare fatti sanguinosi della storia dell’umanità – battaglie, rivoluzioni e rivolte, esecuzioni… – per lo più in chiave allusiva o idealizzata, il primo artista che, oltre a illustrare degli avvenimenti storici, nelle sue opere volle anche esprimere un giudizio morale sulla follia della violenza umana fu un pittore spagnolo, Francisco de Goya y Lucientes che, vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento, è indubbiamente uno dei padri dell’Arte Moderna.
Nato in provincia e figlio di un decoratore, studiò pittura a Saragozza non essendo riuscito a conseguire le ambite borse di studio bandite dall’Accademia di San Fernando di Madrid che gli avrebbero garantito gli insegnamenti dei migliori pittori di Spagna. Dopo un viaggio in Italia, durante il quale passò da Genova ove restò impressionato dalle opere d’arte conservate nella Basilica di Carignano, per interessamento di Anton Raphael Mengs, l’artista allora più apprezzato a corte, Goya nel 1774 ottenne l’incarico di eseguire modelli per la regia manifattura degli arazzi. Dal 1780 iniziò anche ad affermarsi come ritrattista dell’alta società madrilena, arrivando presto a essere chiamato anche da membri della famiglia reale. Verso la fine del 1792 una grave malattia ebbe come conseguenza una quasi completa sordità, menomazione che per diversi anni non ebbe comunque riflessi sulla sua attività artistica, tanto che nel 1799 venne nominato dal re Carlo IV “primo pittore di corte”. Con l’invasione delle truppe napoleoniche nel 1808 ebbe inizio il periodo più travagliato della vita di Goya: in contatto con i circoli liberali favorevoli ai Francesi, si trovò suo malgrado ad essere testimone della violenza e della brutalità del conflitto sopravvenuto, e poi della rivolta, della sanguinosa repressione e del martirio del popolo spagnolo. Da questa drammatica esperienza derivò una serie di incisioni dai soggetti crudelissimi e disperati il cui titolo – I Disastri della Guerra – è stato impiegato anche per la conferenza del ciclo I Capolavori raccontati 2015 che è incentrata su un poco più tardo capolavoro di Goya, il 3 maggio 1808, perché nella grande tela, conservata a Madrid, al Museo del Prado, si riscontrano diversi degli spunti e dei contenuti già enunciati in quelle incisioni.
La vicenda illustrata nel dipinto è facile da raccontare partendo dall’antefatto, pur’esso rappresentato da Goya in un’altra tela altrettanto bella e altrettanto grande – proprio perché pensata fin dall’origine en pendant – dal titolo simmetrico: il 2 maggio 1808, e pure conservata al Prado. Dunque proprio il 2 maggio 1808, di fronte all’intendimento di Gioacchino Murat, luogotenente di Napoleone in Spagna, di trasferire con la forza in Francia l’unico rappresentante della famiglia reale spagnola rimasto a Madrid, l’infante Francisco di Paola, la popolazione madrilena cominciò a concentrarsi davanti al Palazzo Reale, e provò ad assaltarlo. Murat reagì facendo intervenire le Guardie Imperiali col risultato che al desiderio di impedire la partenza del principe la folla aggiunse il risentimento nei confronti dei francesi: cominciò così una rivolta popolare istintiva che di fatto covava fin dal momento dell’ingresso nel paese delle truppe d’occupazione. Trattandosi di scontri nelle strade della città, si costituirono spontaneamente squadre armate di quartiere, che disponevano inizialmente solo di coltelli, uniche armi contro le sciabole e i fucili dei militari. Nonostante episodi di eroismo e qualche scacco, i Francesi ebbero inevitabilmente la meglio: la rivolta fu sedata nel sangue e la repressione imposta da Murat assai crudele. La sera del 2 maggio il generale firmò infatti il decreto istitutivo di una commissione militare funzionale a comminare la condanna a morte a quanti fossero presi con le armi in mano, e così il giorno dopo – il 3 di maggio appunto – vennero fucilati centinaia di patrioti. Si calcola che almeno 2000 madrileni abbiano perso la vita nella rivolta e nelle fucilazioni conseguenti.
Sei anni dopo quei fatti Goya ricevette dunque l’incarico governativo di tramandarne la memoria in due grandi dipinti, e in particolare nel secondo diede corpo a una potentissima immagine di un’umanità sofferente e disumanizzata, di fatto senza tempo e purtroppo, nonostante i due secoli trascorsi, quanto mai attuale.
rassegna: I capolavori raccontati
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